peQuod 2024
Collana portosepolto, diretta da Luca Pizzolitto e Massimiliano Bardotti
Volume a cura di Luca Pizzolitto
Postfazione di Franca Alaimo
Dalla postfazione: “Il ritmo dell’essere insieme”
Ci si deve chiedere quali urgenze etico-estetiche abbiano spinto Nadia Scappini ad alterare la disposizione grafica dei testi poetici tratti dalle sue sette sillogi precedenti, a cui si aggiunge un buon numero di inediti, […] persuadendola a disporre le parole in un flusso continuo prossimo, almeno per ciò che riguarda l’assetto tipografico, alla prosa […]
È come se Nadia Scappini avesse deciso, per un improvviso clinamen interiore, di trascinare il proprio universo versificatorio verso una diversa dimensione, sostituendo alle cuspidi della meraviglia, agli squilli della gerarchia, alla singolarità dei versi, alla solennità delle strofe, la più difficile e nascosta delle virtù, che è l’umiltà, intesa – al di là di ogni valenza teologica che pure rimane – alla luce del disvelamento etimologico […]
Non a caso ci imbattiamo in certi sottotitoli quali preghiere piccole e parole piccole. La pronuncia non è quella del vate ma del profeta che si pone in ascolto e a servizio della Parola, divenendo espressione di una postura religiosa, che, nell’accogliere l’origine di ogni uomo dalla terra (“allora Dio modellò l’uomo con la polvere del terreno e soffiò nelle sue narici un alito di vita”, Genesi 2, 7), si è trasmutata poeticamente in un’adesione emozionale ai luoghi, alle figure, alle memorie della propria infanzia cantate con forte potenza evocativa […]
Il ritorno alla propria terra e, perciò, alla propria infanzia, equivale a una mitizzazione personale di figure che si innestano in una simbologia archetipica collettiva, grazie alla quale la madre, la nonna, le donne contadine, cantate dall’autrice, si identificano con le custodi millenarie di una naturale, arcaica sapienza e di una fertilità gioiosa ed empatica con il grembo generativo della Madre Terra celebrata da tanti miti e leggende […]
Questo e altri temi, quali il tempo, la sacralità del creato, la dimensione della solitudine non come esilio dal mondo ma come raccoglimento, l’attitudine contemplativa, l’amore coniugale percorrono tutta la produzione poetica di Nadia Scappini (sette libri pubblicati dal 2003 al 2023), raggiungendo vette di alta liricità […]
Innanzitutto l’ascolto del proprio abisso interiore […] e della presenza divina nel mondo che necessita del silenzio. In secondo luogo la qualità della leggerezza, come la chiamò Italo Calvino nelle sue celebri Lezioni americane, che è rinuncia alla retorica, alla dizione altisonante, a ornamenti superflui […] Lo scopo è quello di raggiungere il massimo della significazione con il minimo dei mezzi espressivi. Essa richiede, come sostiene Cristina Campo, una profonda attenzione “il solo cammino verso l’inesprimibile, la sola strada al mistero” […]
E, infine, quale sintesi e scopo, lo stigma del sacro, fino alla transustanziazione della parola in pane degli angeli. Probabilmente è stata questa tensione a spingere l’autrice a concepire ogni testo di questa antologia come un universo tutto abbracciato, in cui il sacro sta nelle mani screpolate di tonino, nelle grida scomposte di tommaso, nel rigagnolo che resiste alla gronda, nella bacca nera sfuggita a una tortorella in fuga…, ovunque spiri la vita, tanto che perfino i nomi di persona sono scritti in caratteri tipografici minuscoli perché nessuna creatura è superiore all’altra e tutte sono volte all’Uno. È, insomma, il ritmo dell’essere insieme a contare, poiché noi siamo l’intreccio di presenze immortali.
Franca Alaimo
*
non trovo parole
dileguano i sogni ragnatele sottili che incauta
ho premuto e spezzato. e le voci non si facevano
parole non cingevano gli abbracci hanno
scavato un vuoto i desideri. dileguano i sogni
ragnatele sottili che cauta ora voglio spezzare. ed
è un lago il mio cuore
*
sulla soglia del tempo non trovo parole ma tetto
e pareti. difficile resta fondare un pavimento che
sostenga, lasciando liberi di calpestare andarsene
tornare. e tu coglierai ogni lacrima di luce per
vestire l’amato: sarà cera il suo corpo, alito
caldo la tua mano sul profilo teso nella notte.
distenderai l’orgoglio come un’antica pecca e
placida nel blu brillerà una stella.
*
preghiere piccole
I
da me voglio staccare l’inutile quello che ancora
resta appeso al frutto:
gli aggettivi possessivi lo spazio del già detto
la paglia secca che resiste al nido. c’è stato un
tempo necessario dove il sogno ha radicato
ha occupato anche il respiro. se fatto quercia
– ora lo riconosco da lontano – e sono pellegrina
un po’ stanca un po’ paga
II
ci dai il pane sei nostro pane corpo affamato
corpo nutrito piaga del tuo costato: sappiamo
il balsamo ma nascosta teniamo la moneta
d’acquisto. accendi la mia parola perché si faccia
opera, spegni il fuoco sotteso che di Te non si
nutre
III
mi sdraio sull’erba tagliata da giorni respiro
l’odore del cielo spalancati gli occhi sul mistero
si stringono le mani sul nudo del creato e mi
nasce un sentire come d’infanzia balbuzie di
ritorno in soffi di silenzio sacro
IV
la sua croce non è legno per antiquari: insemino
la sua carne nel mio grembo la mano sul volto
teso
nello spasimo gocciola il costato voglio
asciugare il sudore freddo dentro il mio respiro.
si fa delirio il giorno
V
sono una delle tue dimore poco attrezzata
un monolocale di periferia ingombro di
cianfrusaglie
il lustro della cera cancella le tue orme soffoca
il tuo bisbiglio il rumore delle cose: apri la porta
mostrami Tu la via.
*
il dono dell’incanto
eppure continuano gli anni a scavare sotto il
respiro ad aprire porte inattese (come se un oltre
fosse a fornire le chiavi) per salvare il dono soave
dell’incanto l’azzurro di ghiaccio del cielo
invernale che sferza e abbaglia ogni fessura di
torpore. e dire che pretendevo un tempo – e
come l’attendevo – la felicità. ora che ho smesso
essa mi incalza a sorpresa così da estenuare
(come a volte il dolore) mi spalanca la fronte ab ortu
segnata mi cinge alle spalle mi pulsa mi batte
nel petto finché divento canto salmodiando la
chiarità che ingravida il creato
*
a Ledìne (piccolo paese della Slovenia)
I
il tuo canto
tra i capelli lasciami il tuo canto come tra i fili
d’erba: un sentimento immobile cova non visto
nel fiato delle cose. nuda al limitare del giorno
nel tuo sguardo mi vesti di dalia di rosa di giglio
di campo di bacca odorosa; lasciami il tuo canto
ancora nel freddo quando la ruvida lana mi copre
al confine del buio velami di pudore per quel
niente lavorato nel giorno, l’istante lancia
nel vuoto la tua scala: se oggi so solo sillabare
dammi lieve anima che possa ancora volare
II
i tuoi abiti
sono i tuoi abiti, Signore, che vestono queste
colline? una luce impossibile anche se piove le
mucche pazienti sospese nel ballo odoroso quei
meli storti i palloncini rossi al ramo persi come
per gioco
(oh l’imperfetto incanto!) la supplica gaia del giallo
del viola del bianco. nessun fiore chiede di farsi
notato
l’umiltà radica qui ci sta addosso l’inutile (curvo
le mani a nido Tu solo puoi contenere le certezze frugate nel
sogno a mezzaluna vedi, cammino a piedi scalzi su terreno
accidentato s’inarcano i lembi di vecchie cicatrici l’arco teso
nel volo)
degli angeli
I
rendi mute tutte le parole quando la sinfonia
degli angeli danza in petto e assorbe l’insonnia
delle colpe, l’amara indifferenza, la fatica della
lima quotidiana.
afferraci nel tuo cielo sempre chiaro contro la
bufera, contro la polvere che acceca e sparpaglia
le intenzioni, perfino i sogni nel curvarsi della
sera.
affina i sensi intorpiditi ingombrano il cammino
oscurano la luce del tuo volto l’abbraccio
gaudioso e certo senza condizioni necessario
alla promessa al Padre, il grido nonostante,
lancinante tra gli ulivi, flessi nel pianto, in gelido
sudore
*
E Dio disse “La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che facciano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la sua specie”. E così avvenne.
(Genesi, 1, 11)
C’è ancora la speranza che qualcuno credendo alla
sorgente del creato riesca a farla scaturire dalle
vene della terra e dalle pietre tra gli intricati sterpi
cogliere il gorgoglio dell’erbe il canto d’ogni mite
filino nelle crepe e della rosa selvatica che dipana
sulle soglie della nebbia i nodi ingarbugliati. la
lavanda che arabesca sui muri assolati e inebria
e congiunge in modo misterioso spingendo alla
chiarità che non divide e ingremba semi e foglie
d’aria gli uni negli altri l’ape che passa in volo
ripetendo un ronzio sottile interiore profilo
d’un bene che si ricrea continuamente. non
scarta non spreca accoglie incurante degli
sfregi lambisce si nutre e poi s’inclina come il
sacro per tendenza naturale
*
e come potrei
e come potrei chiamare se non paura l’ombra
che mi sorprende col suo fiato sul limitare della
sera dietro una punta di lontananza viola, una
nostalgia di perla una trasparenza ambigua
solitaria una spina che s’incarna e brucia al
momento ma non fa male tace e
ricompare quando vuole come a rammentare
che nell’ansia di domani c’è una vertigine
una geometria ignota dolorosa verso l’uscita
necessaria il viaggio di fuoco
la gloria finalmente della luce
*
testamento
vorrei che si dicesse quando nel sonno sarò coperta
di lucore che in me non c’era asprezza di pensiero,
piuttosto tensione accesa da un ritmo interiore
dall’obbedire a un richiamo tramato di sottili venature
vorrei che si dicesse che il mio volto, pronto a trasalire
per ogni piccolo segnale disarmonico, obbediva a un
richiamo nato con me come nodo gordiano che
nello sguardo assorto dentro i solchi scavati nella
fronte da un fuoco latente sempre acceso (quasi una rete
tra libertà e pudore dove tutti vi sollevo con la necessaria urgenza
dell’amore) nutrivo pettirossi sul bianco della neve,
polle pulsanti nell’universo spiazzante misterioso dell’amare
*
Nadia Maurizia Scappini, nata a Bagno di Romagna il 3o dicembre 1949, vive a Trento. Dopo l’insegnamento di discipline umanistiche nei Licei di Trieste e Trento, si occupa di promozione culturale, scrittura e critica. Collabora con la pagina culturale di riviste nazionali e cura per il Tquotidiano indipendente del Trentino Alto Adige una rubrica dedicata alla poesia. Presente sul sito di “Italianpoetry”, ha organizzato Convegni e Seminari di studio su Poesia e Mito nonché il Premio di poesia Città di Trento-oltre le mura 2018. Autrice di due romanzi, due saggi e un libro di racconti, per la poesia ha pubblicato Le parole del cuore, stampa Mondadori 2003; La luna nuda, Travenbooks 2007; Il ruvido mistero, Ancora 2008; Un’ora perfetta, Aragno 2015; Come dire dell’amore, Moretti&Vitali 2019; La bilancia del cielo, traduzione in inglese, tedesco, spagnolo, russo, cinese del monologo in versi tratto dal romanzo minimo Sonia e il poeta (musicato dal Maestro Daniele Lutterotti per voce violino violoncello) Graphie / Il Vicolo, 202I; pregbiere imperfette, Moretti&Vitali, 2022; la plaquette Nu suntem singuri / Non siamo soli, Cosmopoli Bucarest, 2023. Numerosi i riconoscimenti nazionali.