Interno Poesia Editore 2024
Poesie scelte e inedite
A cura di Giuseppe Marrani e Benedetta Aldinucci
Dalla prefazione:
Non c’è profilo biografico di Margherita Guidacci nelle moderne raccolte delle sue poesie che non sottolinei la precocità della riflessione della poetessa sulla morte, anzi la sua angosciosa consuetudine con la precarietà dell’esistenza umana […]
L’orizzonte della poesia di Margherita Guidacci, per quanto schiacciante talora pare farsi la sua percezione della decadenza fisica e dell’approssimarsi della fine, non è mai occupato per intero da stolida disperazione o da pessimistico compiacimento circa la sorte miserevole degli umani. E parimenti non è rasserenato semplicisticamente dalla fede cristiana, che pure lei coltivava con sincerità di pensieri ed affetti. Serve in verità, per Guidacci, tenere dolorosamente viva l’inquietudine profonda e finanche lo sconcerto per il mal del destino dell’uomo e per il male che l’uomo stesso si infligge e infligge ai suoi simili […]
Anche durante la fase compositiva più matura (Il buio e lo splendore, Anelli del tempo), Margherita Guidacci non tenta di sfuggire al dolore né di aggirarlo: lo affronta e lo traversa e proprio perché ne fa un’esperienza totale, trova l’espressione purificatrice.
È dunque cosi che Margherita Guidacci scrive, e proprio a cogliere il senso profondo della sua opera la presente scelta di poesie vuol guidare il lettore. Non si tratta infatti di una collezione dei testi più noti o dei più menzionati dell’autrice, ma di un percorso che comprende tutte le raccolte poetiche pubblicate in vita dalla Guidacci e che mira a illuminare le fasi salienti e in prospettiva più significative di una poesia che non ci appare da rivalutare, come troppo spesso si dice, ma semmai da comprendere più a fondo anche nel suo progressivo farsi. Per questo motivo i testi sono riportati secondo l’ordine di uscita delle varie raccolte preceduti ciascuno, quando presenti, dai titoli delle sezioni interne in modo da lasciare alle poesie che compaiono in queste pagine tutto il corredo di informazioni e indicazioni di cui le ha volute dotare in origine l’autrice. Una breve introduzione inoltre rende conto dell’identità complessiva di ciascuno dei libri di poesia rappresentati. La presenza infine di alcuni testi inediti, rimasti fra le carte della poetessa, sta a ricordare il rapporto sempre vivo di quanto uscito a stampa con fasi redazionali precedenti e con alternative poetiche che non si sono magari mai concretizzate nelle raccolte edite ma che a pieno diritto appartengono all’esperienza poetica guidacciana, che anzi proprio da questi testi lasciati nei cassetti viene come illuminata a sbalzo e posta in chiaroscuro.
Un’ultima avvertenza. Un testo forse fra i più noti della Guidacci è All’ipotetico lettore, uscito nella raccolta postuma Anelli del tempo (1993). La poetessa invita nei primi versi il lettore a raccogliere le proprie mani a nido perché lei vi possa deporre la sua anima, s’intende cioè la sua poesia.
Spesso il testo è inteso e proposto come poesia di congedo, come l’estremo e ultimo dono della poetessa. Ma poco solitamente si fa caso a come la poesia prosegue, ossia con queste parole, che ancora si riferiscono, nell’ordine, alle mani del lettore e all’anima dell’autrice: “Ma schiudile se un giorno/ la sentirai fuggire. Fa’ che siano / allora come foglie e come vento, assecondando il suo volo. / E sappi che l’affetto nell’addio / non è inferiore che nell’incontro”.
Sono versi da tenere a mente, parole che ci ricordano l’orgogliosa indipendenza di Margherita Guidacci e la necessità di non credere mai definitivi e ultimi i nostri giudizi sui suoi versi, sulla sua anima.
Giuseppe Marrani e Benedetta Aldinucci
*
Da: La sabbia e l’angelo (1946)
Chi grida sull’alto spartiacque è udito da entrambe le valli.
Perciò la voce dei poeti intendono i viventi ed i morti.
*
Ogni volta che dicemmo addio;
Ogni volta che verso la fanciullezza ci volgemmo, alle nostre spalle caduta
(Tremando l’anima al suo lungo lamento);
Ogni volta che dall’amato ci staccammo nel freddo chiarore dell’alba;
Ogni volta che vedemmo su morti occhi l’enigma richiudersi;
O anche quando semplicemente ascoltavamo il vento nelle strade deserte,
E guardavamo l’autunno trascorrere sulla collina,
Stava l’Angelo al nostro fianco e ci consumava.
*
Da: Paglia e polvere (1961)
L’albero occidentale
Poiché ero l’albero più occidentale del giardino
Per ultimo mi scuotevo di dosso la fredda rugiada.
Nebbia e noia via dai miei rami lentamente strisciavano
E nessuno al mio risveglio applaudiva,
Ché i miei compagni erano da tempo gloriosi nella luce.
Ma la sera su me emigravano gli uccelli
Che l’ombra sgomentava da ogni altro verde asilo;
Lungo e dolce da me s’alzava il canto;
Avidi gli occhi degli uomini mi fissavano, mentre
Ero avvolto dal sole nell’amoroso addio
E brillavo come una torcia sul mondo spento.
*
Mio Dio salvami dalla parola condotta in parata come un vitello
nel giorno di fiera;
Con fiocchi rossi alla coda e una ghirlanda che di traverso gli
scende sui grandi occhi tristi, fra la ressa dei villani e
le grida dei sensali.
*
Voci di poveri
Come saranno numerati i giorni
Del regno di chi mai non ebbe regno?
Sempre il vento griderà sulle alte vette,
Sul capo dei pastori passeranno le nuvole
E le piante selvatiche daranno il loro frutto
Al fanciullo che ridendo s’inerpica pei dirupi.
Nostro regno è la vigna che coltiviamo,
Il grano che seminiamo e mietiamo
La legna portata sulle spalle e spezzata sul ginocchio.
Chi toglierà al povero il suo regno di fatica?
*
Ultima luce
Questa è l’ultima luce che l’anno
Morente trattiene
Nei rovi rugginosi, nei rami
Arrossati del salice,
Nell’arancia che sorridendo mi porgi.
Luce ferma, terrestre,
Avaramente serbata
Contro il livido cielo di dicembre.
Né tristezza né gioia:
Una presenza ed il rifiuto di spengersi.
Simile a quella luce
Che tu pure difenderai nell’anima
Quando la più invernale età ti pieghi
Verso la nudità della zolla.
*
Apro la mia finestra…
Apro la mia finestra, guardo il cielo
E i grandi alberi d’oro che sembrano reggerlo.
Penso a te, un punto perduto nella luce
Come son io: davanti a un cielo, ad alberi
Che altri un giorno fisseranno, tentando
Similmente di esprimersi, lottando
Con le parole, con la gioia. Vento e foglie,
Oro denso e memoria, l’impossibile
Che urge in gola… Oggi a noi questo è dato,
Oggi prestiamo all’universo il nostro volto effimero.
Simultanee faville, questo è il momento del nostro ardere.
*
Promessa
Non canterò come il fringuello cieco
Per attirare gli altri in prigionia;
Non verserò dall’anfora dell’anima
Una stilla d’ambascia.
Iddio solo conosce con qual mola
Io macino il frumento del dolore.
Il silenzio sovrasta la parola;
Alta luce lo fascia.
*
Fissità
Sinistra fissità delle cose
partecipi un tempo dell’aria.
La bandiera afflosciata, la vela
Caduta, l’ala chiusa.
Alla pietra
s’addice la durezza, l’incontriamo
là, senza batter ciglio.
Ma ogni volo trafitto
fa trasalire l’anima
come per un pericolo sottile
che lei stessa minacci
e fin d’ora la stringa in un cerchio
di solitario dolore e presagio.
*
Da: Il vuoto e le forme (1977)
Il tuo ricordo
Il tuo ricordo, sul fondo
della mia solitudine,
ne rivela l’ampiezza
e tuttavia la limita.
Così un canto d’uccello
addolcisce l’immensità del cielo
e una singola vela
rende umano il mare.
*
Da: Inno alla gioia (1983)
Dal dolore alla gioia
Il dolore
era piombo e pietra e mi chiudeva in me stessa.
Ogni giorno una nuova cerchia di mura,
un nuovo giro di catene.
Ma la gioia
mi dilata ora dal centro del cuore
fino agli orli vibranti del mio essere –
leggera come un fiore che apra i suoi petali al mattino…
No, più leggera. Io sono spazio e luce.
Sono il crocevia di liberi venti.
*
Felicità respirabile
…una dicha respirable
Jorge Guillén
Non c’investì come un vento gagliardo, non incendiò roveti
non ci costrinse a volgere altrove lo sguardo
tremanti di sgomento, sopra una terra sacra.
Fu una brezza dolcissima, appena percettibile
in un trasalimento di foglie e nell’assenso dell’erba:
carezza sui capelli e farfalla di luce
posta a un tratto su una crespa d’acqua.
E noi la conoscemmo dalla pace
che ci avvolse profonda – come di agnelli al meriggio,
quando null’altro conta fuorché il solare senso di esistere.
Non fu la mente, infatti, ma il nostro corpo stesso che per primo l’accolse
in larghi sorsi di vita: felicità respirabile.
*
Da: Poesie per poeti (1987)
Innocenza
(omaggio a William Blake)
È ricco un limpido ruscello
più di un torbido mare.
L’uno contiene se stesso e il cielo.
L’altro, soltanto il proprio turbamento.
*
Da: Il buio e lo splendore (1989)
Giorno delfico
Dopo la notte stellata, l’attesa
piena di gioia (ho rifiutato
il sonno, l’insidia dei sogni,
perché il filo perfetto della memoria
non s’impigliasse nei loro labirinti)
ecco, dai ripercorsi anni d’amore
a questa tesa anima, che a te
si volge illimpidita dal silenzio,
come sorge splendente
il nostro giorno delfico!
*
Da: Anelli del tempo (1993)
All’ipotetico lettore
Ho messo la mia anima fra le tue mani.
Curvale a nido. Essa non vuole altro
che riposare in te.
Ma schiudile se un giorno
la sentirai fuggire. Fa’ che siano
allora come foglie e come vento,
assecondando il suo volo.
E sappi che l’affetto nell’addio
non è minore che nell’incontro. Rimane
uguale e sarà eterno. Ma diverse
sono talvolta le vie da percorrere
in obbedienza al destino.
*
Stella cadente
Alcuni desideri si adempiranno
altri saranno respinti. Ma io
sarò passata splendendo
per un attimo. Anche se nessuno
mi avesse guardata
risulterebbe ugualmente giustificato –
per quel lucente attimo – il mio esistere.
*
Margherita Guidacci, nata a Firenze il 25 aprile del 1921 da una famiglia originaria di Scarperia, paese a cui nel corso della vita è sempre rimasta legata, è stata allieva all’Università di Firenze di Giuseppe De Robertis, e sotto la sua guida si è laureata nel dicembre del 1943 con una tesi, per i tempi molto audace, sulla poesia di Giuseppe Ungaretti. È stata poi docente di lingua letteratura inglese al liceo romano Cavour, quindi di letteratura angloamericana presso l’Università di Macerata, e poi ancora di letteratura inglese presso l’Istituto Universitario parificato di Magistero Maria SS. Assunta di Roma. Viaggiatrice, vivace pubblicista e saggista, Margherita Guidacci è stata anche rinomata traduttrice delle opere, fra gli altri, di John Donne, Christopher Smart, Wiliam Blake, Joseph Conrad ed Emily Dickinson. Da sùbito orientata verso una poesia dalla forte connotazione astratta e metafisica (La sabbia e l’angelo, 1946), lontana da ogni forma di ermetismo e pervasa da una costante tensione religiosa (Morte del ricco, 1954; Giorno dei Santi, 1957), la Guidacci ha calato tale propensione anche nel racconto della propria sofferenza psichica, trasformando la narrazione di una penosa degenza in istituto psichiatrico nella rappresentazione di uno dei volti del doloroso destino dell’uomo (Neurosuite, 1970). Similmente anche la poesia di occasione civile, come i versi composti per la strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1980 ad opera di terroristi dell’estrema destra, ha come chiave di lettura l’indole fratricida dell’umanità simboleggiata dal delitto originario di Caino (L’orologio di Bologna, 1981). Persino le raccolte più propriamente votate alla riscoperta di un’intima felicità di affetti (Inno alla gioia, 1983) mai slegano l’esperienza terrena dalla consapevolezza della morte e dall’inquieta attesa di un’eternità consolatrice. Margherita Guidacci muore a Roma il 19 giugno 1992. L’ultima sua raccolta, Anelli del tempo, è uscita postuma a Firenze nel 1993.