da: L’opera poetica completa di Karol Wojtyla (Giovanni Paolo II), a cura di Santino Spartà, Libreria Editrice Vaticana 2012



Ai piedi della verità bisogna mettere l’amore,
bisogna collocarlo agli angoli, per terra, per terra,
metterà radici anche là dove non ci sono strade –
e costruirà, eleverà, trasformerà


I. Rive piene di silenzio

1.

Lontane rive di silenzio cominciano appena di là dalla soglia.
Non le sorvolerai come un uccello.
Devi fermarti a guardare sempre più in profondità
finché non riuscirai a distogliere l’anima dal fondo.

Là nessun verde sazierà la vista,
e gli occhi prigionieri non si libereranno.
Credevi che la vita ti nascondesse a quella Vita
chinata sugli abissi.

Ma da questa corrente – sappi – non c’è ritorno.
Avvolto dalla misteriosa bellezza dell’eternità!
Durare e durare. Non interrompere la fuga
delle ombre, durare solamente
in modo sempre più chiaro e più semplice.

Intanto sempre indietreggi davanti a Qualcuno che viene di là
chiudendo piano dietro a sé la porta della piccola stanza
e venendo smorza il passo
– e col silenzio colpisce quello che è più profondo.

2.

Ecco l’amico. Sempre ritorni con la mente
a quel mattino invernale.
da tanti anni ormai credevi, sapevi certamente
ma lo stupore non ti può lasciare.

Chino sopra la lampada, nel fascio di luce unita in alto,
senza alzare il viso perché sarebbe inutile –
ormai non sai se è là, là visto di lontano,
oppure qui, nel profondo degli occhi chiusi –

È là. Mentre qui non c’è soltanto tremore,
soltanto le parole del nulla ritrovate –
ah, ti rimane ancora un briciolo di questo stupore
che sarà tutto il contenuto dell’eternità.

3.

Finché tu accogli il mare nelle pupille aperte,
in sembianze di cerchi ondulati,
ti sembra che in te anneghino tutti gli abissi e i limiti –
ma ormai hai toccato l’onda con il piede,
mentre così ti sembrava:
era il Mare che stava dentro di me
spandendo intorno tanto silenzio tanta freschezza.

Annegare, annegare! Piegarsi e poi lentamente salire
senza sentire in quel riflusso i gradini
sui quali si è discesi di corsa tremando –
solo l’anima, l’anima dell’uomo immersa in una minuscola goccia,
l’anima rapita dalla corrente.

4.

Non così si presenta la forza vitale della luce.
Quando il mare rapidamente ti nasconde
e ti scioglie in abissi silenziosi
– la luce strappa bagliori verticali alle onde languide
e il mare piano finisce, affluisce un chiarore.

E allora, in ogni direzione, negli specchi lontani e vicini,
vedi la tua ombra.
Come ti nasconderai in questa Luce?
Sei troppo poco trasparente
e il chiarore alita dappertutto.

In quell’istante – guarda dentro di te. Ecco l’Amico
che è solo una scintilla, eppure è tutt’intera la Luce.
Accogliendo dentro di te quella scintilla
non scorgi altro,
e non senti di quale Amore sei avvolto.

Vittorio Sella, sul Castore, 1888


5.

L’amore mi ha spiegato ogni cosa,
l’amore ha risolto tutto per me –
perciò ammiro questo Amore
dovunque Esso si trovi.

E poiché sono una distesa aperta al flusso silenzioso
che non ha nulla dell’onda tonante che non pioggia ai tronchi iridescenti
mi ha molto di un’onda quieta che scopre luce negli abissi
e alita questo chiarore su foglie non inargentate.

Perciò in quel silenzio io-foglia
liberata dal vento,
non mi curo più di alcuno dei giorni inabissati
perché so che tutti s’inabisseranno.

6.

Qualcuno si chinò lungamente su di me.
L’ombra non pesava sull’orlo delle sopracciglia.
Come la luce colma di verde,
come il verde, ma senza sfumature,
un indicibile verde posato su gocce di sangue.

Questo dolce chinarsi, pieno di freschezza e insieme di arsura
che cala dentro di me, eppure mi resta sopra,
anche se passa poco lontano – proprio allora diviene fede
e pienezza.

Questo dolce chinarsi, pieno di freschezza e insieme di arsura
è silenziosa reciprocità.

Chiuso in quella stretta – come a una carezza sul volto
dopo la quale vi è stupore e silenzio, silenzio senza parole
senza nulla comprendere o bilanciare
in quel silenzio sento, sopra di me, il chinarsi di Dio.

7.

Il Signore, quando attecchisce nell’intimo è come un fiore
assetato di caldo sole.
Vieni, dunque, o luce, dalle profondità dell’inesplicabile giorno,
e posati sulla mia riva.

Ardi, non troppo vicino al cielo
e non troppo lontano.
Ricordati, cuore, di quello sguardo
in cui ti attende tutta l’eternità.

Chìnati, cuore, chìnati, sulla riva,
annebbiata nella profondità degli occhi,
sul fiore inaccessibile,
su una delle rose.

8.

Che senso ha, se scorgo tante cose quando non vedo niente,
quando ormai l’ultimo uccello è sparito oltre l’orizzonte,
quando un’onda l’ha nascosto nel suo cristallo – io scendo ancor più giù,
immergendomi, insieme all’uccello, nel fiotto fresco, cristallino.

Più aguzzo lo sguardo, meno riesco a vedere,
e l’acqua curva sotto il sole, dà un riflesso tanto più vicino
quanto più lontana è l’ombra che dal sole divide la mia vita.

Nell’oscurità dunque vi è tanta luce
quanta vita vi è nella rosa sbocciata,
quanto vi è di Dio che discende
sulle rive dell’anima.

Karol Józef Wojtyła


9.

Io stacco piano la luce dalle parole
e raduno i pensieri come un gregge di ombre
e lentamente in tutto immetto il nulla
che attende l’alba della creazione.

Lo faccio per creare uno spazio
alle Tue mani tese
lo faccio per avvicinare
l’eternità in cui Tu possa alitare…

Inappagato dall’unico giorno della creazione
io bramo un nulla crescente,
perché il mio cuore sia disposto al soffio
del Tuo Amore.

10.

Per quest’attimo – colmo di strana morte
che salpa verso l’eterno infinito,
e per un tocco di lontana arsura
che fa languire il profondo giardino.

Si confondono l’attimo e l’eterno
la goccia ha risucchiato il mare –
e un solare silenzio
cala sul fondo dell’estuario.

La vita è forse un’onda di stupore, un’onda più alta della morte?
Fondo del silenzio, insenatura d’estuario – un solitario cuore umano.
Di là veleggiando nel cielo
quando ti sporgi dalla barca
un cinguettìo di fanciulli si mescola
allo stupore.

11.

T’amo, fieno odoroso, perché non trovo in te
la superbia delle spighe mature.
T’amo, fieno odoroso, perché hai cullato in te
uno scalzo Fanciullo.

T’amo albero severo, perché non odo lamento
dalle tue foglie cadute.
T’amo, albero severo, che le Sue spalle nascondesti
sotto grappoli di sangue.

T’amo, pallida luce del pane di frumento
in cui l’eterno dimora un istante,
la nostra riva raggiungendo
per occulti sentieri.

12.

Dio venne fin qui, si fermò a un passo dal nulla,
ai nostri occhi vicinissimo.
E parve ai cuori aperti, e parve ai cuori semplici,
sparito all’ombra delle spighe.

E quando per i bramosi discepoli si sgranarono le spighe
Egli nel campo ancor più s’immerse.
– Imparate, diletti, vi prego, questo mio nascondiglio,
Dove mi sono nascosto, lì perduro.

Dite, giovani spighe, non sapete
dov’Egli si è celato?
Dove cercarLo? – a noi ditelo, spighe,
dove cercarlo, nella vostra abbondanza?

13.

V’era Dio, in cuore, v’era l’universo,
ma l’universo si oscurava
e diveniva, piano, canto del Suo intelletto,
diveniva la stella più bassa.

O maestri dell’Ellade, vi narro un grande miracolo:
non importa vegliare sull’Essere che scorre via tra le dita,
c’è la Bellezza reale,
celata sotto il Sangue vivo.

Il frammento di pane più reale dell’universo
più colmo d’Essere, colmo del Verbo
– il canto che sommerge come un mare
– il vortice di sole
– l’esilio di Dio.

Vittorio Sella, Cervino, 1885


14.

Figlio, quando Tu partirai, crescente abisso eterno
nel quale scorsi ogni cosa –
Padre, l’Amore significa necessità
di una crescita di gloria.

Figlio, guarda, non lontano dal Tuo chiarore
graniscono le spighe mature
– E verrà un giorno in cui Ti toglieranno il fulgore,
in cui alla terra cederò la Tua luce.

Padre, guarda, non lontano dal mio amore
è il mio sguardo
e in esso avvolgo da secoli
quel giorno turgido nel suo verdeggiare.

Le Tue mani toglieranno dalle mie spalle
– Figlio, vedi questo annientamento,
il Tuo bagliore, quando verrà il giorno,
darò alle spighe della terra il turgore.

Padre, le mani staccate dalle Tue spalle
le salderò a un legno spogliato di verde,
e intriderò d’un pallore di grano
questa luce che muterai in spighe.

Figlio, quando partirai, eterno Amore,
della più intima corrente chi mai t’inonderà?

Padre, lascio il Tuo sguardo che s’empie di un’onda di sole,
scelgo gli occhi degli uomini
– scelgo gli occhi degli uomini, colmi d’una luce di grano.

15.

Stare così, davanti a Te, guardare con questi occhi
in cui convergono le vie stellari –
occhi che siete ignari di Colui che in voi regna,
da Sé e dalle stelle prendendo luce sconfinata.

Dunque, sapere sempre di meno e credere sempre di più.
Chiudere piano le palpebre davanti al tremulo bagliore,
poi, con lo sguardo, risospingere la marea delle rive stellari
su cui è sospeso il giorno.

Dio presente, fa’ che questi occhi chiusi
divengano occhi interamente aperti –
e l’esile soffio dell’anima, che trema in uno sbocciare di rose
avvolgi nel Tuo vento immenso.

16.

Portami con Te a Efraim, Maestro, e lascia ch’io rimanga con Te
là dove rive lontane discendono su ali di uccelli
come il verde, come onda gonfia, non sfiorata né intorbidata dal remo
come un grande cerchio sull’acqua, non turbato da ombra di sgomento.

Ti ringrazio perché hai posta la dimora dell’anima lontano d’ogni fragore
e come amico vi soggiorni, circondato dalla Tua sorprendente povertà,
O Immenso! occupi solo una minuscola cella
e ami luoghi vuoti e solitari.

Poiché Tu sei il silenzio stesso, questo grande Tacere,
da ogni suono di voce fammi libero,
ed entra in me Tu solo, col Tuo fremente essere
e col vento che trema tra le spighe mature.

Karol Józef Wojtyła


II. Il canto del sole inesauribile

1.

Il Tuo sguardo fisso sull’anima, come il sole verso la foglia s’inclina,
ne arricchisce il fiorire con la profonda, trasparente bontà,
l’accoglie nel suo raggio
– ma Tu, Maestro, guarda:
che accadrà della foglia e del sole? – la sera si avvicina.

2.

L’anima non è una foglia
che non seguirà il sole
e sarò spenta quando il suo verde diverrà cenere –
e solo sempre più lontano sarà il sole
che d’un’ellisse sempre più vasta l’accerchia.

Alla foglia non basta che ogni mattino albeggi
non le basta che il sole torni a sorgere.
La morte è solo un raggio troppo breve
di queste ore di sole.

3.

L’anima non è una foglia.
E su di sé può trattenere il sole
e insieme a lui discendere
in un arco inscindibile, al tramonto.

E laggiù lo raggiunge e rimane,
partecipando al solare declino,
e quando ancora procede il cammino,
in una lunga ombra a lui si salda –

Non spezza l’orizzonte,
nell’ansia di giorni lontani,
– ma solo sta alla porta e bussa.
Ed ecco, ha giù raggiunto tutto:
ecco, ogni giorno le riporta il sole
nel cerchio visibile.

4.

Quando tristezza e sera si confondono
– hanno lo stesso colore –
formano insieme uno strano liquore,
e timorosamente alle mie labbra l’accosto.

Così, per non lasciarmi solo
in quell’ansia, spogliasti
il crepuscolo d’ogni suo orrore,
e all’eternità desti il sapore del pane.

Quando dall’infinito facesti emergere il tempo
per appoggiarlo all’altra riva,
Tu già sentivi il mio lontano pianto,
ne sapevi da secoli il motivo.

Sapevi che la nostalgia
di chi una volta ha bevuto il Tuo sguardo
non si placa per un solare incanto,
ma si arrossa di sangue, come trafitta da spine.

5.

Se il cosmo è un ramo pesante di foglie
e avvolto dall’irraggiare dei soli,
e se lo sguardo è un quieto abisso
recato sulla palma aperta –

allora anche se tremano e cadono le foglie
rispecchiate dalla vicina profondità,
il quieto abisso sempre fissa
Te – Nascosto.

Vittorio Sella, Alpi, 1892


6.

Quando creavi i miei poveri occhi
e recavi l’abisso sulla Tua palma aperta,
pensavi a quello sguardo eterno
affascinato dall’abisso
e dicevi:
            mi abbasserò, fratello
mi abbasserò, e non lascerò mai soli i tuoi occhi,
e mi nasconderò dapprima nella croce,
poi, come il pane, nel grano maturo.

Allora penso:
                       Ti abbassi così
perché nel cosmo non restino sole
le mie spalle lontane dalla croce
e i miei occhi pieni di nostalgia.

7.

Se l’amore tanto più è grande quanto più è semplice,
se il desiderio più semplice sta nella nostalgia
allora non è strano che Dio voglia
essere accolto dai semplici
da quelli che hanno candido il cuore
e per il loro amore non trovano parole.

Ed Egli stesso nell’offerta
c’incantò nella sua semplicità,
la povertà, la mangiatoia, il fieno.
La Madre, allora, sollevò il Bambino
e lo cullava tra le braccia
e nelle fasce Gli avvolgeva i piedi.

Miracolo – miracolo – miracolo!
quando proteggo Dio con la sua umanità,
da Lui protetto col Suo amore,
protetto col Suo martirio.

8.

In uno sguardo infantile
concentrato sull’Ostia soave
incontrai il Padre Divino
che con immenso amore mi guardava.

Davanti a quello sguardo,
dov’era il mondo intero
i miei occhi tremarono
come un fiore indifeso.

Diceva il Figlio: Ecco si sta attuando
il desiderio del nostro amore
perché gli occhi dell’uomo mi guardano
non alterati dal fulgore.

O fulgore! O creativo sguardo
da cui sorge una nuova Creazione
molto più esuberante,
sorgono mondi nuovi di nascosto.

Karol Józef Wojtyła

9.

Oh, si sente quel momento del nulla
quel momento di prima della creazione –
non recederne mai,
come non si recede dall’ombra.

Tornare sempre a quel tempo
quando cullato solo dal Tuo Pensiero
ebbi in me più innocenza di un bambino,
e più profonda trasparenza.

Oggi, stordito dalla vita
dimentico la mia nullità,
vago tra raggi lontani
strappato ai raggi più semplici.

Ma basta uno sguardo nel profondo
che l’eternità scopre dal flusso –
un semplice sguardo
con cui dimoro nuovamente nel Tuo Pensiero –

Succede quando – nascosto nel fulgore,
concentro tutto me stesso,
e divento di nuovo il Tuo Pensiero,
amato dalla bianca arsura del Pane.

10.

Spesso di là mi fissa lungamente
inchiodando il mio volto con lo sguardo –
Sai tu, sai tu, fratello
come ci ama il nostro Padre?

Ma di quelle parole nessuno sa la profondità –
ma le cause più lontane nessuno conosce
e come quel supplizio fu sconfinato
la solitudine sull’albero della croce.

Tuttavia non il sangue, che fioriva sull’albero
come fiorisce ogni fatica nel pane di domani –
ma l’allontanamento dal Padre,
l’essere rifiutato…

Per quelle parole: Perché mi hai abbandonato
Padre, Padre – e per la Madre in cordoglio
ho redento sulle Tue labbra
due parole più semplici: Padre nostro.

11.

È in me l’acqua profonda trasparente,
ai miei occhi velata di nebbia –
quando, come un torrente, io corro troppo in fretta,
non sono degno che quel fondo così abissale.

Là, ogni giorno, il mio Signore viene e resta –
scia di sangue quando s’immerge nella neve –
– e vi è reciproco riconoscimento
e alita una reciproca abbondanza.

Se, allora, qualcuno sapesse togliere
dalle profondità trasparenti la nebbia,
si vedrebbe – in quale miseria,
si vedrebbe – in chi –

e si vedrebbe – quale chiarore
inonda la profondità oscurata,
si vedrebbe – nel cuore umano,
nel più semplice dei soli.

Vittorio Sella, K2, 190


12.

È in me un paese trasparente,
nel chiarore del lago di Genezaret
e la barca… e l’approdo dei pescatori
appoggiato a onde silenziose…

e la folla… la folla dei cuori
abbracciati da un Unico Cuore,
un Unico Cuore, il più semplice,
il più mansueto –

– oppure – quella sera con Nicodemo
– oppure – sulla riva del mare,
dove ogni giorno ritorno
affascinato dalla Tua beltà –
E tutto questo: la sera con Nicodemo
il paese e l’approdo dei pescatori

e il fondo trasparente
e la Tua Persona così vicina –

– tutto questo è visto attraverso un Punto Candido
del candore più puro,
circondato, nel cuore dell’uomo
da un vivo fiotto rosso.

13.

Ti prego, tienimi nascosto
in un luogo inaccessibile,
nella corrente di silenziosa meraviglia,
o nella cupa notte.

Ti prego, proteggimi
dal lato che sprofonda nel buio –
e Ti prego togli i veli davanti a me
dal lato che inchioda lo sguardo,

perché so di un luogo segreto
dove nulla disperderò di quei soli
che ardono sotto l’orizzonte
degli sguardi inchiodati sul fondo.

Avverrà allora il miracolo
della trasformazione:
ecco, diverrai me –
io – eucaristico.

14.

Io Ti prego Signore, allontanaTi da me
e il mio fallibile pensiero
non porre a repentaglio di tanta debolezza,
non porre a repentaglio di tanta impotenza,

– perché non esiste così grande riconoscenza
che riesca ad abbracciare l’infinità
affinché il cuore abbracci Te
con una striscia rossa solare –

e anche se abbracciasse il mondo intero,
anche se lo accendesse fino al delirio,
e se dessi tutto me stesso –
io so che nulla avrei restituito.

E Tu, ogni giorno, torni a moltiplicare
la mia impotenza
sottomettendo la Tua infinità
al mio fallibile pensiero.

15.

Come potrò esprimere la mia gratitudine al mare per le sue onde
che, quiete, vengono a cercare i miei quotidiani smarrimenti?
Come potrò esprimere la mia gratitudine al sole che non mi ha reso odioso
il crepuscolo che dalla sera il mattino divide in uno stacco così breve?

Per questa vicinanza che cosa ti darò,
vicinanza che accendi con tale immensità,
come il falò,
come il cuore che in equilibrio rimane –

per questa confidenza che cosa Ti darò,
confidenza che stringi in uno sguardo infantile
e che concludi in una gloria
che nell’ombra, d’ogni tristezza è priva –

E per questa difesa che cosa Ti darò,
la difesa che il giorno non mi lesina.
Tu come puoi, Signore,
fidarTi di uno come me.

Come potrò esprimere la mia gratitudine al mare, per le sue onde
che, quiete, vengono a cercare i miei quotidiani smarrimenti?
Come potrò esprimere la mia gratitudine al sole che non m’ha reso odioso
il crepuscolo che dalla sera il mattino divide in uno stacco così breve?

16.

O Signore, perdona al mio pensiero che non Ti ama ancora abbastanza,
perdona al mio amore, Signore, ch’è sì terribilmente incatenato al pensiero
che Ti sperde in pensieri freddi come la corrente
e non avvolge in brucianti falò.

Ah, accogli, Signore, l’ammirazione che mi zampilla dal cuore
come zampilla un ruscello dalla fonte –
– il segno che di lì verrà la vampa –
e non respingere, Signore, neanche la tiepida ammirazione
che un giorno colmerai con una pietra ardente sulle labbra –

Non respingere, Signore, la mia ammirazione
che per Te è un nulla, perché Tu Intero sei in Te Stesso,
ma per me, ora, è tutto,
            un torrente che rapisce le sue rive
prima di dire la sua nostalgia per gli oceani smisurati.

(1944)

*

Karol Józef Wojtyła, nacque a Wadowice, città a 50 km da Kraków (Polonia), il 18 maggio 1920.
Terminati gli studi nella scuola superiore Marcin Wadowita di Wadowice, nel 1938 si iscrisse all’Università Jagellónica di Cracovia. Quando le forze di occupazione naziste chiusero l’Università nel 1939, il giovane Karol lavorò (1940-1944) in una cava e, in seguito, nella fabbrica chimica Solvay per potersi guadagnare da vivere ed evitare la deportazione in Germania.
A partire dal 1942, sentendosi chiamato al sacerdozio, frequentò i corsi di formazione del seminario maggiore clandestino di Cracovia; nel contempo, fu uno dei promotori del “Teatro Rapsodico”, anch’esso clandestino. Dopo la guerra, continuò i suoi studi nel seminario maggiore di Cracovia, e nella Facoltà di Teologia dell’Università Jagellónica, fino alla sua ordinazione sacerdotale avvenuta a Cracovia il 1̊ novembre 1946. Successivamente fu inviato a Roma, dove, sotto la guida del domenicano francese P. Garrigou-Lagrange, conseguì nel 1948 il dottorato in teologia, con una tesi sul tema della fede nelle opere di San Giovanni della Croce (Doctrina de fide apud Sanctum Ioannem a Cruce). In quel periodo, durante le sue vacanze, esercitò il ministero pastorale tra gli emigranti polacchi in Francia, Belgio e Olanda. Nel 1948 ritornò in Polonia e fu coadiutore dapprima nella parrocchia di Niegowić, vicino a Cracovia, e poi in quella di San Floriano, in città. Fu cappellano degli universitari fino al 1951, quando riprese i suoi studi filosofici e teologici. Nel 1953 presentò all’Università cattolica di Lublino la tesi: Valutazione della possibilità di fondare un’etica cristiana a partire dal sistema etico di Max Scheler. In seguito divenne professore di Teologia Morale ed Etica nel seminario maggiore di Cracovia e nella Facoltà di Teologia di Lublino. Il 4 luglio 1958, il Papa Pio XII lo nominò Vescovo titolare di Ombi e Ausiliare di Cracovia. Il 13 gennaio 1964 fu nominato Arcivescovo di Cracovia da Papa Paolo VI, che lo creò e pubblicò Cardinale nel Concistoro del 26 giugno 1967. Partecipò al Concilio Vaticano II (1962-1965) con un contributo importante nell’elaborazione della costituzione Gaudium et spes.
I Cardinali, riuniti in Conclave, lo elessero Papa il 16 ottobre 1978. Prese il nome di Giovanni Paolo II e il 22 ottobre iniziò solennemente il ministero Petrino, quale 263° successore dell’Apostolo. Il suo pontificato è stato uno dei più lunghi della storia della Chiesa ed è durato quasi 27 anni.
Tra i suoi documenti principali si annoverano 14 Lettere encicliche, 15 Esortazioni apostoliche, 11 Costituzioni apostoliche e 45 Lettere apostoliche.
A Papa Giovanni Paolo II, come privato Dottore, si ascrivono anche i 5 libri: Varcare la soglia della speranzaa (ottobre 1994); Dono e mistero: nel cinquantesimo anniversario del mio sacerdozio (novembre 1996); Trittico romano, meditazioni in forma di poesia (marzo 2003); Alzatevi, andiamo! (maggio 2004) e Memoria e Identità (febbraio 2005).
Giovanni Paolo II è morto in Vaticano il 2 aprile 2005, alle ore 21.37, mentre volgeva al termine il sabato e si era già entrati nel giorno del Signore, Ottava di Pasqua e Domenica della Divina Misericordia.