Alfredo Rienzi, fotografia di Ernesto Cosenza

Arcipelago itaca edizioni 2024


Interminabile è l’agonismo tra il conservare e il sovvertire: poli in reciproca, frontale obiezione, che tutto tengono saldo in mobilità, in dinamico equilibrio. Apparentemente caotica, l’eterna opposizione tra avversi può enunciarsi, nella vita del singolo, in particolari che dolgono d’incomprensibilità; mentre la visione d’insieme, quella alta, pulserebbe di equanime conoscenza, sapendo la vorticosa omeostasi dell’intero. In questo senso i Custodi ed invasori cui Alfredo Rienzi fa riferimento nella sua omonima opera (originariamente per Mimesis 2005; ora ridata alle stampe in Arcipelago itaca edizioni 2024, con antologia critica di sintesi) possono essere intesi come gli archetipali schieramenti che pervadono il dramma del vivere, in un eterno avvicendarsi e riformularsi dei ruoli.
Al cospetto di questo teatro che dà sfondo e profilo all’esistenza, il poetico sentire è in Rienzi quel gravoso dono, quasi demiurgico, del percepire di più: oltre la cortina dei nebulosi tumulti, delle ambigue fluttuazioni; al di là dell’acquisito: per subitaneo acuirsi nel senso, chiarirsi nel presagio.
Suggestioni orfiche ed esoteriche, riferimenti alchemici, un profondo simbolismo in spirito sono la compagine da cui, sempre con imprevedibile scatto stilistico e concettuale, s’innalzano i versi ariosi e articolati di Rienzi: vasti d’intensità e cura sensoriale, a volte perentori in crudezza, costantemente inclini alla ricerca ritmica e lessicale, nelle folte variazioni ideative e cromatiche.
Perché è continua la fuga della “parola dal recinto”, continuo il risorgere di un “delta di protopensiero”, eccedenza all’ultimato, al compiuto perfetto, preludio di nuovo rigoglio scompigliato e scarminato, tangente acrobatica a ogni tracciato perimetrale che tenti della circonferenza la perfezione, della regolarità ineccepibile la presunzione. Romba esternamente, radicato nella luce dei corpi eppure deflagrante in puro, disordinato suono, il significante che strazia la materia e la solleva, torcendosi e oscillando senza designata patria e senza epilogo.
Ricchezza semantica e versi sontuosamente dispiegati, a dire delle vastità che ci delimitano e determinano come coscienze percettive. Scongiurata così è la violenza dell’appianamento, la perentorietà dell’univoco, che semplifica in utile diagramma ciò che, come vivente spontaneo, è impulsività sorgiva, urgenza brada. L’oggetto di osservazione del poeta – che lavora, questo è evidente, non a un prodotto, ma a un gesto intimamente esistenziale – s’accresce sedizioso oltre l’intendimento e la capienza dell’occhio umano. L’atteggiamento computazionale è dissestato da Rienzi in una poesia contemplativa e insieme atletica, che osserva immobile ciò che esiste, restituendolo in dissonanza e attrito, bilico e asimmetria, disgregazione e rinascita: quel perpetuo esercizio dialettico tra tutela e irruzione che fa da sistole e distole al reale, negando ogni fissità, in favore delle variabilissime geometrie in cui tutto si riforma e risorge, inesauribilmente.                         

*

da: Custodi ed invasori, Arcipelago itaca 2024:



                               La simmetria si rompe e si scompone
                                        ad ogni delta di protopensiero prima del nuovo anello

così fugge la parola dal recinto
         si scompiglia e scarmina i bradi spazi d’oltrepagina dove il suono-rumore
                   deflagrando irrompe e si dispone a un cauto lenire d’onda
                                           ad una morte di guscio vuotato, di litote sfinita

                                     è nella materia, nella materia
                                 la voce che offre ancora il sacrificio della carne radiosa
                                                                  della bocca odorosa di parole

                          il sacro lampo saetta zigzagando ed i serpenti ora s’incadùceano
fino alla voluttà del bacio, dell’estremo compimento
                          della legge del pendolo e del moto elicoidale
                                                              dell’aureo infingimento universale

mentimi se in tutto questo sai darmi un luogo un suolo e
– se ti riesce l’addomesticamento di un qualche fuoco o verbo innaturale –
condannami al silenzio, al requiem della regola

*

Questa è la via dei colonnati in marmo
dei portali intarsiati, dei gargoiles senza occhi che sogghignano
dove s’arrocca la pietà e l’inverno.
C’è sempre qualcuno a mezzo tra il corpo
e l’ombra, appeso a un nome che non torna,
il passo è meno che un cammino lento, un trascinarsi muto
di qua dall’argine delle begonie, dal nostro discettare a voce bassa:
i feriti, i derubati del sonno, i sanguinanti sopra e sotto pelle
nella notte lo scarno sogno è larva e lottano sonno e veglia morso a morso:

un rito che non sai come chiamare,
si direbbe un morire
senza sbocco e compimento: un dolore
senza male e lamento.

*

Il mantello di tutte le parole
la veste sudicia di terra e zolfo, il petto nudo: tutto così inizio
ed offro, e tutto così disperdo,
al lungofiume, al sottopasso, agli antri
di case silenziose.

Dissotterro frammenti di feticci infranti e sfigurati
come un esploratore di zolle e tane vuote:
è la fine che ingravida il principio.

Fotografia di Nick Hedges, Glasgow 1971

*

Valenze alchemiche della nuvola

Simbolo della sostanza che prende
forma tra torre e cielo e per il lento
rimestare del vento si disperde
in segni oracolari e dissolventi.

Sposa infedele al tempo e alla distanza
gioco e incostanza, mutevole scempio.

Mantello nero sui sentieri morti.
Biancore abbagliante di sole intorno
Sudario insanguinato dei tramonti
quando si compie l’opera del giorno.

*

Aerostato

Spogliarsi, alleggerire le zavorre
tutti i metalli: l’oro e gli strumenti
di bordo. Scarnificarsi, se occorre,
dissanguarsi fino all’estrema lacrima.

Tu che non mostri il volto
marca con inchiostro rosso le sdrucciole
e i versi che nella caduta pèrdono suono, l’insostenibile spirale
del precipizio, quando anche i dittonghi
si slegano per destini di stallo
come le anime dai corpi e le colpe dai rimorsi.

Prepara un asterisco verde erba
dove si stima il punto dell’impatto,
e un lino chiaro, se sudario o veste
si vedrà, se morti o sopravvissuti.
Ma in ogni caso arriveremo nudi.

*

Cadono rotolando con scosse e urla ai diavoli
            per cielo, terra e inferno
i condannati a morte,
notte dopo notte, nel rito osceno che rompe l’argine della speranza

            notte e giorno rinnovano la fuga

il monte scuote sé stesso ed un tempo inutile che pure esiste e passa
nelle sembianze che pèrdono forma
e s’asciuga come la nostra bocca al troppo lamentare

si rinasce tra mura sporche e dure
ogni mattina e il giorno si rinserra
come un vestibolo ove si entra soli, fronte a fronte col teschio
la cenere sul pane e un pugno di sale alle ferite.

Fotografia di Nick Hedges, Birmingham 1967

*

Non ha importanza il grado.
Quinto, sesto, o sesto superiore: non è nel numero la differenza.
È che in certi in passaggi, troppo stretti ed esposti sull’abisso
non puoi voltarti per tornare indietro
solo avanzare o fermarti al gelo a disfarti per fame per paura.
Avanzare neppure sai per dove
tra lampi ed ombre di dimenticanza,
smarrendo anche motivo e volontà
(chissà se quassù un dio lo ascolterebbe
l’exurgat, invocandolo con uno dei suoi nomi.)
Non ha importanza il modo, si deve continuare
unica alternativa è il precipizio.
Follia e Suicidio son gli angeli incolori che restano a guardare.

*

Da sotto l’asfalto riemerge il porfido
nei lungodora e per le vie del centro
in mappe frastagliate dove puoi immaginare
teste recalcitranti di cavalli, laghetti di montagna
la sagoma di un’isola qualunque col tesoro,
pozze di sangue morto e raggrumato

Sotto il porfido respirano sabbie e minuscoli fiati
in strati semivivi di stagioni, antichi acciottolati
terriccio e orme di palafrenieri in livrea che hanno versato
petali secchi tra pagine – arse dalla calura e da un gelo intristente –
d’abbecedario o di vangelo apocrifo o di calendari d’anni
passati, senza il foglio di dicembre e
la foto della baita sotto tre metri di neve azzurrina.
S’intravedono ancóra appunti di giornata.

*

Mem Tau

Eri in ogni fiore ed in ogni filo
d’erba, nelle pietre che s’incendiavano
bianche di fiamma al solo pensarti.
Eri in ogni lacuna di silenzio
e nel larice che segna il confine
del mondo inferiore dove non è
concesso scendere alle dee in amore,
nell’iroso torrente e nelle nuvole:
anche in quelle che il vento spingeva via.

*

L’albero in fiore mi è stato maestro,
il gelso il ciliegio l’ippocastano
dai pallidi racemi, negli estremi
del breve tempo concesso al ramo,
nel calmo fremito tra l’alba e il vespro
con la forza del rizoma e del fusto
che s’innalza al cielo, con la bellezza
del petalo fugace e la sua pace
nell’esilio al vento, con la saggezza
che sostiene l’avvizzirsi del frutto.

*

Sono cresciuti arbusti d’ogni tipo
ed alberi dal fusto dirompente
– platani, frassini e folte robinie
nella vecchia caserma di corso Brunelleschi
dovunque, nei cortili,
nelle ampie camerate senza più muri e tetto,
giungle maya dei nostri quartieri.

Forse questo ti potrà consolare:
non c’è limite a quanto può esser cancellato.

*

Alfredo Rienzi (1959) ha pubblicato diversi volumi di poesia, da Contemplando segni, in 7 poeti del Premio Montale (Scheiwiller 1993, prefazione di Maria Luisa Spaziani), a Sull’improvviso (Arcipelago itaca 2021, prefazione di Maurizio Cucchi). Altri volumi – Oltre-linee (dell’Orso 1994), Simmetrie (Joker 2000) e Custodi ed invasori (Mimesis-Hebenon 2005) – sono in parte confluiti in La parola postuma. Antologia e inediti (puntoacapo 2011). Nel 2015 ha pubblicato Notizie dal 72° parallelo (Joker) e nel 2019 Partenze e promesse. Presagi (puntoacapo). Suoi testi poetici tradotti sono stati pubblicati in Romania, America latina e Russia. Ha tradotto testi di L. S. Senghor in Nuit d’Afrique ma nuit noireNotte d’Africa mia notte nera (Harmattan 2004). Ha inoltre dato alle stampe il volume di saggi Il qui e l’altrove nella poesia italiana moderna e contemporanea (dell’Orso 2011). Ha fondato e gestisce il lit-blog «Di sesta e di settima grandezza», dove è disponibile una sua bio-bibliografia più ampia (https://alfredorienzi.wordpress.com/)