Annalisa Ciampalini, foto di Michele Iacuzzo
Pequod 2022, collana portosepolto, a cura di Luca Pizzolitto
Prefazione di Valeria Serofilli
Dalla prefazione:
La chiusura degli occhi è un gesto in apparenza minimo, quasi impercettibile, eppure in grado di contenere vasti orizzonti di significati e di simboli. In primo luogo il punto che separa ed unisce la veglia dal sonno (e quindi dal sogno) e la morte dalla vita. In quel gesto minimo è racchiuso il tutto. È anche un gesto di estrema dolcezza e delicatezza, che tuttavia esprime anche la forza di una necessità che è altresì, potenzialmente, una scelta. Chiudere gli occhi vuole poter dire anche schierarsi altrove, scegliere di non vedere, non guardare, rifugiarsi in un mondo altro, differente.
[…] La silloge si muove tra gli estremi del tempo, inteso come sequenza cronologica ma anche come susseguirsi di calore e gelo, buio e oscurità. Ancora una volta questo contrasto è essenziale: il buio si distingue dalla luce e ognuno concede all’altro senso e significato. […] Interessante, è giusto confermarlo, è l’intreccio che si crea nelle liriche di questa raccolta tra il clima meteorologico e lo scorrere del tempo umano. Tra i colori del cielo e gli stati d’animo.
“La fragilità sta nel verso che non dura / scriverlo su carta / voltarsi per leggerlo di nuovo / e il segno muore. / Il verso frontale volitivo e pieno / la parola stretta sotto la palpebra che duole / e poi il vuoto”.
Questi versi riassumono bene l’intento, l’approccio a cui si è fatto riferimento: la caducità di ogni cosa umana, ribadita, confermata. Ma, accanto ad essa, la volontà e la necessità di scrivere su carta quella fragilità che è punto di partenza e di arrivo allo stesso tempo. Così come la stessa palpebra che muore ma conferma di essere stata viva con l’atto stesso di provare dolore.
[…] L’autrice si muove all’interno di simboli costanti e fondamentali esplorando un’ampia gamma di richiami e di rimandi. Il dolore è alimento di tutti i versi, e la conquista di una stagione di luce, anzi di un istante di luce, passa attraverso una lunga serie di immagini di fragilità e di oscurità, il processo necessario per acquisire una visione nitida, accurata.
[…] Alla fine della silloge e della strada espressiva da essa percorsa, resta una ferita che non si cuce. Ma il libro della Ciampalini è una interessante e sincera testimonianza in versi della volontà della poesia di aprire le palpebre sul dolore individuale e sul buio del mondo, trattenendo, nel riflesso, la scommessa della luce.
*
I nostri corpi complementari
il tuo chiarore
la mia esile oscurità.
Tua è la pietra dell’inverno
il seme dormiente nel giaciglio scuro
le mani che sanno dove premere.
A me resta l’albero lontano
il bianco che si accumula piano
il fiore pallido
esitante tra le dita.
*
La mia preghiera è il tuo nome
pronunciato chiaramente
la constatazione muta e ripetuta
della cosa che ti sta accanto
e si oppone.
È cercare, tra tutti i pensieri,
quello che su di te si ferma.
È una preghiera che guarda e ricorda.
È la mia effimera presenza
e la tua ferita – viva
che non si cuce.
*
All’improvviso scende un grande silenzio
e un ordine pallido
si dispone nella casa.
I pasti serali hanno la disciplina delle cose fredde
dei corpi tenuti a distanza. Nessuno
guarda la sedia vuota al suo fianco.
Lì c’è un luogo in cui la luce arriva piano
il punto che ci guarda
e va taciuto.
*
Tutte le cose che chiudono gli occhi.
Tutte le cose che chiudono gli occhi
un attimo prima
e crescono un avanzo di tempo
dove si flettono dimenticano
confondono l’inizio con la fine.
Dove dormono nel profondo
sotto le loro stesse radici.
Dove l’occhio del ventre si chiude.
Dentro al ventre e sotto le radici:
un tempo fuori campo
in attesa
un sangue scuro, maggiore
che si oppone alla morte.
*
Nella stanza condivisa
i posti vuoti
creano il luogo di un amore cresciuto a dismisura
la forma sensuale dei corpi
tramutati in assenza.
*
Anche lui abita nella nostra casa, ma ha un angolo tutto
per sé. Nello spazio in cui dorme e si lava c’è un residuo
di sole, un movimento che si insinua nella disposizione
degli oggetti. All’improvviso ha preso forma un luogo
di passaggio, un punto in cui poli opposti si avvicinano.
Ogni casa ben costruita dovrebbe avere uno spazio così.
Un orientamento rivolto verso un pianeta che sorge,
una stanza dimenticata dove qualcosa cresce.
*
È oggi una di quelle mattine felici
in cui prevale la partitura poetica.
La geometria silenziosa della stanza
l’idea argentata di un’alba
che raduna le forme più chiare.
E gli altri, così prossimi
nel loro vivere lento,
oscillante
tra la finestra e lo schermo.
E uno sfondo bianco, ad altezza d’uomo,
che ci tiene tutti.
*
SOMIGLIANZE
Quando giungemmo alla fine del viaggio trovammo
un insieme di piccole isole disseminate in una luce
sconfinata. Difficile immaginare terre emerse tanto
vicine e così dissimili tra loro: per forma, correnti e
vegetazione. Sembrava che una grande mano le avesse
radunate lì, proprio quel giorno, dopo che per intere
ere geologiche erano cresciute separate, disperse in mari
lontani.
Ma poi pensammo alla metropoli, a quel corpo
multiforme e compatto nel vapore serale, ai grattacieli,
alle case basse, ai sotterranei nelle notti di gelo.
Al sonno di tutti che sale.
*
Annalisa Ciampalini (Firenze 1968), si è laureata in Matematica all’Università degli studi di Pisa, e ha studiato pianoforte classico. Nel 2008 ha pubblicato la raccolta di poesie L’istante Si Dilata (Ibiskos Editrice), nel 2009 vince il premio della giuria per la poesia inedita “Città di Salò”. Dalla “Casa Editrice Miano” è stata inserita con quattro editi e dieci inediti nel quaderno di studi letterari Alcyone 2000. Nel 2014 pubblica la raccolta L’assenza (Ladolfi Editore) e nel 2018 Le distrazioni del viaggio (Samuele editore). Tutte le cose che chiudono gli occhi (peQuod 2022) è la sua ultima silloge.