I
Tu, che rifai vergine questa mia
pianura e il mare solo per sentito dire.
Nel solco tuo – nella fessura – tengo
le mani giunte come a chiedere una conca,
un fonte battesimale, dove nascere daccapo
a Dio e, Dio volendo, mettere la chioma
sopra il cielo e il cielo sotto la radice
per stare con te in terra
come in paradiso.
II
Dire all’acqua: acqua,
non fa di me un poeta
ma l’amore cauto della formica
chiusa dentro il pugno. Può
un solo cielo volerci tutti –
eppure questo lento
masticare non aiuta.
Così la terra muove
il suo stellato, rovistando
nella mano ferma,
e come la formica scava
nella carne la parola
che non si attraversa.
III
Te ne vai col sole oltre la casa
rotta, dove il bene di cui parli
è il nome rimasto sulla porta.
Amarsi conta pure questo iato
e mentre il giorno insiste, un’ombra
dentro l’ombra scende quasi fosse
un grido nella stanza vuota.
IV
Ode al cielo che si guasta,
e nuvola tiene nuvola a sé stretta
in un abbraccio.
Una canaia
aizza fiato sulla strada, già non
distinguo il buio dal terrore.
Hai dato lume al mendicante, concedi
a me, Signore, prodigio nella cenere –
poiché il granturco è in spiga e il lino
in fiore, chiamarti amore conta più
di quanta vita si intravede.
Giuseppe Todisco è nato a Foggia nel 1980. Suoi testi sono apparsi su diverse antologie, tra le quali Enciclopedia di Poesia Italiana, a cura della Fondazione Mario Luzi. È presente all’interno della collana «Poeti e Poesia», a cura di Elio Pecora. Collabora con alcuni lit-blog ed è co-fondatore e co-direttore di “Avamposto”. Si prega girati di schiena (Marco Saya, 2020) è la sua raccolta d’esordio.
Complimenti e un forte abbraccio, Giuseppe.