a cura di David La Mantia
Il Convivio Editore 2021
postfazione di Franca Alaimo
con un inedito commentato
I versi di Alba Gnazi in questa sua ultima opera In quel minimo che cade, data alle stampe da Il convivio editore (2021), vivono della piccolezza, della consuetudine, del perpetuarsi degli eventi naturali che circondano la poetessa; un mondo in cui si stagliano, come personaggi e portavoce del vario sentire la realtà, l’io dell’artista, la figlia, l’uomo amato, gli alunni, mai stereotipati, con il loro forsennato e gioioso agire e agitarsi quotidiano. Il tutto su uno sfondo di lutti non ancora rielaborati, un mare di elegiaca sofferenza rappresa nei gesti.
La sua poesia, che in principio voleva essere altissima come nella lezione ermetica e stilnovista, è via via sempre più scritta con un linguaggio chiaro, semplice ma esatto, che si nutre, con il passare delle sillogi, di contaminazioni, perché la lingua vive nella vita stessa, in fieri, in corpi che si muovono e cambiano. E noi con lei.
Un lessico che porta dritto al cuore delle cose, con un duplice intento. Da una parte creare un nido, un porto franco di accoglienza rispetto all’orrore di una terra guasta, malata nel midollo, come in Levi, nel Montale di Satura e de La Bufera e nel The Waste land di Eliot. Dall’altra smuovere le coscienze, come nel miglior Sereni, come in Raboni. Luogo dove analizzare i conflitti presenti dentro e fuori di noi. Poesia che si faccia sguardo e mani, alito e stomaco, ventre caldo e sofferente come in Pierluigi Cappello, passo dolente come in Pavese. Che vuol dire poi fare una poesia onesta, come per Saba, perché la vita è cosa umile, che ci affratella nel comune cammino, perché “il dolore ha una voce”. Ecco. Da qui nasce la necessità per la Gnazi di perseguire un costante equilibrio tra significante e significato, tra scrivente e lettore, tanto che un suo testo non sembra mai nascere per essere attraversato, percorso, per essere luogo risolto, quanto per spingere a restarci dentro, a precipitare nell’abisso, fino a impregnarci di dolore, a sedimentare in noi un cambiamento.
Come in Sylvia Plath, come sicuramente in Mariangela Gualtieri. Se vale per tutta la poesia, di sicuro dalle poesie di Alba Gnazi non si torna mai uguali a prima.
Franca Alaimo, nella sua bellissima postfazione, ha sottolineato splendidamente come la poesia dell’autrice di In quel minimo che cade sia infatti incentrata su “il dolore che scrive la musica tutta del mondo sul pentagramma dei fili d’erba cresciuti fra i gradini di una scala o delle strisce scure di un guscio di lumaca”. Ed è davvero così.
*
(inedito)
Montedarena
Cicale, da tanto non venivano
a incoraggiare ciarle e buonumori,
gli scoppiettii di frasi, i nasi in su
di lato all’arenile, fianco strada
o più sotto, dove la rena frena
le onde, e si solleva invisto il mare.
Corpi si muovono in file spaiate,
dune spostate da voci e odori
tra vani di luci ombre sonore e tacchi,
il fruscio rosso dei taxi,
l’ingresso a tutto campo
verso un buio corale,
dove i pini marittimi
confondono per canto
il conto alla rovescia
di invisibili cicale.
La poesia si apre e si chiude con la stessa parola (in apertura come apostrofe), quasi tautologicamente, in modo circolare. È una epanadiplosi legata alla figura delle cicale, un topos letterario che tocca tutta la letteratura degli ultimi due secoli, da d’Annunzio a Sereni, da Sbabaro a Montale. Immagine della poesia e della pineta. Qui Montedarena, la spiaggia simbolo delle ultime tre generazioni di Tarantini, diventa un luogo focale per esaminare la vita vera degli uomini, “voci e odori, ombre sonore e tacchi”.
Meraviglioso il tessuto di figure retoriche messo in campo dalla Gnazi. Ci sono frequenti omoteleuti (frasi nasi, Montedarena rena frena, spaiate spostate), tantissime paronomasie (partendo dal basso: verso rovecia, canto conto, conto confondono, canto campo, tacchi taxi, spaiate spostate, cicale ciarle, rena frena, frasi nasi, sonore rosso). Tantissimi i giochi fonici, con allitterazioni e assonanze (si su, tanto, lato, fianco; corpi voci odori, pini marittimi, ombre sonore, rena frena solleva). Di rilievo “il fruscio rosso dei taxi”, con onomatopea, sinestesia, ipallage (il rosso è un colore che pertiene alle auto, ma si sposta al livello fonico). Tutto è in movimento. Una folla raggiunge il mare e sembra fondersi con i suoi colori, i suoni di una natura umanizzata dal chiasso di una festa.
David La Mantia è nato e vive a Grosseto. Insegna italiano e latino al Liceo Scientifico Marconi della sua città. È editor, vicepresidente dell’associazione Porta-Voce, membro del comitato tecnico scientifico della Fondazione Bianciardi e del CDA della Fondazione Atlante, collaboratore di “Bubbles Magazine” e redattore de “Il Gabellino”, autore e coautore di diversi testi di tradizioni popolari e di racconti, raccolti in antologie. Nel maggio 2019 è uscita per Innocenti Editore A testa bassa, una silloge di poesie e brevi prose liriche, giunta alla terza ristampa, premiata con il secondo posto tra le sillogi edite al Premio città di Grosseto 2020. Una sua raccolta inedita è stata proposta al Premio Pagliarani. Suoi versi sono usciti nell’antologia Con-tatto, materiali prodotti durante il lock down.
Alba Gnazi vive nella provincia di Roma, dove svolge la professione di insegnante. Ha visto pubblicate due raccolte poetiche (Luccicanze, Cicorivolta 2015 e Verdemare, Cronologia inversa di un andare, La Vita Felice 2018) e diverse poesie e racconti in riviste, antologie, siti letterari. È da poco uscita la sua ultima silloge, dal titolo In quel minimo che cade, il Convivio Editore, 2021.