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Raffaelli Editore 2024
Se esiste un’elezione, questa alberga nel mistero, ed è labile, ciondola sulle ferinità del cuore, incespica sul margine – sullo strapiombo – dell’agio. Profondamente evangelico è il portato di Davide Brullo nel suo più recente lavoro in versi La madre del libro (Raffaelli Editore 2024) che pronuncia l’essenziale sottovoce, nei soavi arcani della sua lingua: il poeta dice con garbo tutte le enormità dall’odierno meticolosamente ignorate, ribaltando senza sosta l’ordinario punto di vista. Così Gesù di quest’arte del rovesciare era maestro: per tenere acceso e libero lo sguardo, neptico il cuore.
Capovolgere ogni statuto è il carisma dei soli, degl’intrepidi nella tenacia dello Spirito, l’ausilio a rinnegare dogma e baricentro. Perché Cristo è nella crepa, re dalle spine sul viso, e vagabondo il Verbo s’annida nelle bazzecole, in dimesse mansuetudini, mentre l’autentica santità congeda le nubi, ogni astratto sublime dall’annuncio plenario.
“Dio dei rapaci” che ha “dieci / braccia e imbecca l’erbivoro / per canzonare il cosmo”: inattuabile è la previsione di grazia, portata dal soffio che s’avvita nel vento e “nasce / e finisce con il fuoco” facendosi incessante dissolvenza, geniale mutevolezza. Eppure stabilmente vi è un accadere dal basso, dal grado ultimo, quando la veemenza mite dell’umiltà sovverte il paradigma, disarma le antitesi, entra nel sangue “di soppiatto” e semina le sue essenze docili, addestrando ad accanimenti di pace. Bontà che sgretola i visi, come il canto muto del sole, la pazienza protesa, verticale dell’erba.
Madre, matrice, potenza retrostante che si arrota nel libro, parola data alla luce, afflato potente di εὐαγγέλιον che sporge dal “petto stambecco” a intagliare simboli da materia inerte, a sciogliere nel vento le “labbra pari a velieri”.
Agonizza l’Agnello, leso dall’insignificante, perché sia totale l’oltraggio nel suo compimento: perché dal “sangue festoso” sia un librare in volo di fiori, un aprirsi a biblioteche di rondini. Mai si esaurisce il bene, vive nella curva eterna del ritorno, vegliato da fronde angeliche, da frescure custodi che lo sanno capostipite di ogni levatura, di ogni destrezza d’ali.
Non esiste reggia per l’uomo che solo nell’uomo confida, la via certa è un inganno: “anche se ti prostri / invaderanno i ripari che con tanta / cura hai creato”; la carità strema gli opposti, rimanendo in silenzio medita la parola giorno e notte (Salmo 1), vera sorgente, e la sua bocca è un tempio silente d’assoluto.
Un volume esile, dal manto pacificato questo di Brullo, dove l’innocenza ha già versato il suo tributo con molata remissione. Nella gioia della pena e dell’offerta il poeta dice – da sempre – ciò che importa radiandosi dal cenacolo dei gongolanti, depennandosi dall’ateneo dei sagaci: “il dio che viene senza avvertimento” predilige il disadorno, che allibisce a ogni respiro e volteggia, grato, sulle proprie inettitudini. Ai “cuori imbragati di brina, di vite / in bottiglia” antepone astri che accelerano il passo nel morire, che onorano il rosso e il salubre idioma del dolore.
“Chi guida la preghiera ha vesti / sottili, sembra una fiamma”, “il suo destino / è sparire dopo averci consegnato / l’inno”: anche nell’odierno, in questo profluvio di superfluo e di triviali oscurità, ci sono Padri nei loro deserti, che fanno del “romitaggio” un esercizio di adesione: svuotati, effondono pienezza e vedono il libro coricarsi nella luce, sulle ampie distese, inesauribile. Come inesauribile è il corpo alato di astensioni, sollevato in azzurri eterei e fluviali, del profeta smunto, l’assetato cui tutti s’abbeverano, assistendo all’enigma, mai risolto, di quel bilico: con cui gli scalzi, dalle lande dell’illimitato, salgono, vibrando tra rigore e libertà, la scala all’infinito.
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*
da: La madre del libro, Raffaelli 2024
A loro piace vederlo agonizzare:
un dio che urla, crestato di frecce
con i cani a infiammarlo
per questo hanno sagomato i colli
con gli aratri aquilotti e arretrano
di fronte alla bestia miliare – è giusto
che sia il più piccolo a fendergli
il cranio: da quel sangue festoso
si librano i fiori, si aprono come
un libro le rondini – è giusto
perché a loro è lecito il futuro
augurale: devono sviscerare il cielo
e incardinare la terra al monito monile
il corpo sarà trascinato dai carri:
basta tarpare le ferite con l’olio
e cucirgli un manto sulla schiena –
ne parleranno a lungo e potranno
imprimergli gli stessi nomi, paterni
e potati alle nuove mansioni:
per molti sarà quello che mangia
le stelle e la serpe, che munge rivi
prati dai canali, cadetti del campo
annuirà anche l’ultima finestra auriga:
introdurlo al verde ne ha santificato
la presenza – angelo fogliame veglia
sulla sua rinnovata voglia, fagli spiccare
il volo, che spezzi i lacci acciaiuoli
e manometta i denti in un’altura di ali
*
chi guida la preghiera ha vesti
sottili, sembra una fiamma;
la sua confidenza con le belve
celesti lo confina oltre le mura –
è vero, anche gli alberi lo seguono
le armi depongono il seme e il sole
mugola, eppure, il suo destino
è sparire dopo averci consegnato
l’inno impaniato di felci
scalcia l’animale che vuole ascendere
e le case satelliti hanno consumato
il pascolo: usano lo spago per dividere
le proprietà come se il cuore fosse
un aratore e amare si possa misurare
in lotti, in una lotteria di acque sotterranee
ma lui ha il voto a fargli da scudo:
lascia che lo scherniscano, il male
quando è impaziente, ricorre ai soliti
assoluti, è la sabbia e il rospo – quando
costeggia la città sul dorso di una
capra, tremano i re e la gravida
è terrea, si aggrappa alla sedia –
è spaventoso un dio che per voce
dei suoi discendenti pretende
i primogeniti – gli uccelli cadono
come tegole, il libro va tenuto
tra le gambe: l’ultima benda rivela
la volontà volatile, con penne d’acciaio
cosa importa: chi vive dirimpetto
al dolore sa che quelle ali in verità
erano petali, che tutto si spoglia
e di un errore resta il giallo polline
la curia chiamata falco
*
quando trasportano la madre del libro
usano ogni accorgimento: è sempre
gravida, perde le acque e occorre
contenerla tra i lacci –
se non studiassero quella particolare
arca disperderebbe i figli
in ogni angolo della valle: il dio
bambino e il dio licaone, il cadetto
uccello e il decano delle volpi – tutto
il mondo griderebbe la sua lontananza
e siamo stanchi di divinità con le zampe
rapide nella rabbia, eppure: ogni frase è
una seminagione, ogni lettera è un uovo
ed è difficile mettere le pagine a maggese
lei mugola perché le impediamo
il paesaggio ed è spianata la via –
chi la porta ha calzari di stoffa
che ammutoliscono la corsa – ciò
non toglie che qualche sciacallo
se ne accorga dando notizia del sacrilegio
– ma la madre del libro ha fame e secondo
consuetudine mangerà la loro lingua: privi di parole
d’incanto, vivranno tra i boschi, piegati
e agli angoli, come scorpioni – ma questo
accadrà tra qualche giorno: oggi
il cielo è una freccia e lei è gonfia
ha i neonati in bocca
*
giusto è il romitaggio per chi ha messo
sotto neve i propri impieghi e sovrasta
la sovranità del cuore con i sonagli
le gonadi balenottere appese al bastone –
si nutre dei frutti spontanei, piega
la sfrontatezza delle fiere effemeridi
e chi lo ospita sente la casa riempirsi
di una gioia intrepida:
il libro è il suo faro: vede distendersi
la sua luce per i campi, ma non osa
avvicinarlo – per lui
anche il cavallo che ha per padre il tuono
trova la postura umana, rifiuta il pasto
per una più duratura intelligenza
lo diresti inafferrabile: quando morirà
scopriremo che aveva il corpo di un uccello
rapace e gli artigli alle gambe – ma è
come l’acqua, come un fiume: tutti
possono prenderne un pezzo e raccoglierlo
in brocche senza che si esaurisca –
forse è un uomo buono, ma chissà cos’è
il bene e se nei suoi meandri non si nasconde
la faina e la faida: nelle grotte interiori, dico
dove dipingono il bue e la lancia e le donne
partoriscono in piedi – lì la tana è intitolata
al sangue, suo fango –
*
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Davide Brullo è uno scrittore, poeta, saggista italiano. Ha pubblicato Annali (Atelier 2004), L’era del ferro (Marietti 2007), Abbecedario antartico (Raffaelli 2017), Gries (Aragno 2019), Lince (Crocetti 2022), il presente volume La madre del libro (Raffaelli 2024). Ha tradotto Il Libro della Sapienza, i Salmi e le poesie di David Gascoyne. Ha scritto alcuni romanzi, tra cui Rinuncio (Guaraldi 2014), Pseudo Paolo. Lettera di San Paolo Apostolo a San Pietro (Melville 2018), Un alfabeto nella neve (Castelvecchi 2018), Nabokov (Compagnia Editoriale Aliberti 2021), La pantera (Industria & Letteratura 2023). Ha curato, insieme a Nicola Crocetti, il volume Dimmi un verso anima mia. Antologia della poesia universale (Crocetti Editore 2023) e, insieme a Nicola Crocetti e Antonio Spadaro, il volume Versi a Dio. Antologia della poesia religiosa (Crocetti Editore 2024, con una Lettera ai poeti di Papa Francesco). Ha fondato il quotidiano culturale on line «Pangea»; scrive su «il Giornale» e sul «Venerdì di Repubblica». La foto è di Simone Casetta.