Il ramo e la foglia edizioni 2024
Dalla dichiarazione di poetica dell’autore:
Credo, semplicemente, come autore ma soprattutto come uomo, in una parola e in un ascolto che sia al centro delle cose e del mondo, a partire dunque dalle dinamiche che determinano noi stessi e gli altri. Soli non siamo nulla, mi ripeto e avverto continuamente. Soli non ci salviamo. E se la verità dell’uomo è nella condivisione, la natura e la forza di ogni vera poesia è dare dignità e racconto a questo vincolo fatto del medesimo respiro e del medesimo tormento.
[…] Fede nell’ altro e nel mondo, la cui misura, nell’aderenza alle sofferenze del quotidiano, personalmente nasce, va alimentandosi e si interroga all’interno di una Parola più alta. In quella radice di sé che ha nella creaturalità il suo riconoscimento, persona e parole allora sono le figlie stesse di una incarnazione che non cessa di interrogarci, di metterci in crisi nelle nostre risonanze di perdita. È proprio all’interno di questa crisi però, resto convinto, la possibilità più forte, per quanto di umano ci è dato, per una risposta senza infingimenti – senza vie di fuga – per il racconto di un tempo che procede per cancellazioni e negazioni, quando non per conflitti. Una misura che, se di qui pertiene – e avviene – non può, per quanto mi riguarda, non muoversi per sottrazione nell’affondo scarno a levigare, a scrostare dal peso di tutto ciò che della terra ne comprime il respiro: la sacralità, come detto, nella direzione della vita.
[…] E allora la mia parola – anche per questo richiamo a una continua spoliazione a essere prima che autore un uomo migliore – oltre che innamorata (prendendo a prestito il termine dalla nota antologia di Pontiggia e Di Mauro) posso e voglio definirla una parola grata, e viva proprio là dove è possibile, insieme, il rinominarsi e il ricominciare sempre.
Gian Piero Stefanoni
*
Piega la creatura lieve all’arcano del proprio fluire, eleva, nella dissolvenza di sé, il proprio dolore a quello del Padre. Piena luce, pieno calore non è dato ai corpi nell’esserci precipite e attonito, lasciato solo in carenza, feriti gli occhi dall’immobile splendore di ciò che adempie e tiene salda la fioritura.
Nudi i versi, nuda l’essenza delle cose in questo libro di Gian Piero Stefanoni (La costanza del cielo, Il ramo e la foglia edizioni 2024) in cui l’amore, benché dai viventi mai interamente percorso e messo in atto, aleggia come l’ovunque possibile, dovuto e nodale: profilo desto, peculiare dell’umano nel mondo – identità e dignità di un pegno – atto di variazione e scaturigine dal “muto cognome”, dalle persistenze sterili, senza volto.
Pienezza di creatura è, nel paradosso che tiene in tensione ogni cosa viva col suo opposto, trasparenza di sé e a sé, nel gesto del credere e dell’affidarsi: rimettersi ad altro, fare epiclesi lasciandosi svanire nello Spirito, diafani come pneumatiche presenze: tersi del proprio nulla, aperti a quel soffio aurorale, dorato: che solo nel cuore divaricato al vuoto può fondarsi, trovando riposo e riverbero, risonanza.
Siamo al cospetto di un sacro che s’incarna silente e sottilissimo, impalpabile, come a indietreggiare, eppure “convesso nel fiato” perché cerca voce, cerca nome e figura, prende fattezza dove la materia s’inarca al conio, alla tempra, nella “premura dell’ombra” che l’accompagna. Come aureo è il restare in anima, splendore di campanule ferme nell’eternità del corrispondere perfetto: all’ordine che combacia, a povertà di ciò che è alato e nunzio, angelo mandato a dire, a dare, senza nulla chiedere. E questa “madre sola” senza nome, luce madida e umilissima che a ogni sembianza piega, dandole esistenza percepibile.
“Strappo di vita delle forme”, incessante perire e rigenerarsi nel “ritorno d’impasto / che s’infibra nello stelo”: materia come incarnata luce, nitida essenza che di matrice celeste fa esempio sereno, illustre in ogni sua resa.
Stefanoni ha scritto un tale bel libro: così rilevante la sua poesia, davvero geroglifica, piena di intensità e destino: un precipitato di quel silenzio che avverte e tesaurizza le potenze, che fa astensione e accumulo di sensi designati, peculiari: per ogni poeta che davvero sia dedito: vocazionali.
“Portatori di fiori” dunque siano i poeti, emuli trascurabili di questo incarnarsi del soffio in figura: patiscano con lealtà il restituire il Regno in simbolo, l’idea che di continuo sopraggiunge al presente eterno della verità, ma come in sogno, con sagome spoglie, crudeli di mutismo e fulgore, quasi dolorose nella ripida e severa intensità metafisica – albore in picchiata, nelle sue brillantezze rinserrato, inafferrabile – che le attraversa.
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NON S’INCURVA
La rosa dallo spoglio dolore
non s’incurva, non recita
nel buio la propria iconoclastasi.
Ma crede – come io credo –
nel ferito splendore che dà luogo
alla forma, al ritorno d’impasto
che s’infibra nello stelo.
Abbiamo braccia, abbiamo mani
nel patire e morire insieme del padre.
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CAMPANULE
Il sole non riesce a vedere.
Il sole non riesce a spingere.
Ho freddo dice il corpo
a un pensiero che non si basta –
irriflesso e solo – allo splendore
fermo delle campanule.
Ma arrotonda il frammento
al compimento, sfugge alla morte,
all’idea che ha di sé: sempre
del presente l’amore.
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VOLTI
Non uscire dal letto senza pegni,
non andartene nudo.
Ogni giorno oltre le porte
il freddo, la paura, l’idolo – la sera
che ritorna nel nostro muto cognome,
al nostro muto scemare.
Non uscire dal letto senza volto.
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TU CREDI
Tu credi ma il vento
in te non può riposare
né adagiarsi la nuvola
o l’albero finalmente
alla sua maturata infanzia
dare respiro nel piccolo nido.
Tu credi ma non riesce
a passare – basso allo sguardo –
il sole, l’oriente.
*
SABATO
Sacro perché ti guarda,
perché è guardato il silenzio
che è in te dalle cose.
Convesso nel fiato
il suo fiato, la luce prende
nome dal nome.
Ha corpo dove è corpo
l’ordinaria premura dell’ombra.
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LA COSTANZA DEL CIELO
Sa da dove il frutto
è fatto opera, di quale annuncio,
di quali scaglie l’ombra ora riluce
nello strappo di vita delle forme.
Sa per femminile trasparenza
la visione dell’ultimo nato,
sul ramo la costanza del cielo che non cede.
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(RE)INCARNAZIONI
Svegliato e bagnato dal sole
al riflesso breve del mistero,
l’Uomo strappato al suo posto.
Appena nato al corpo denso dell’asfalto
ha il grumo lieve della madre;
non geme, non ha richieste
nel torpore acceso della ferita.
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SACRAMENTO
Il fiore non ha lastre,
non ha nebbia, chiaro
l’odore nel riflesso
composito della radice.
Sciolta alla trasparenza
della terra, la luce
nella forma dello stelo.
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LE ANIME CHE RESTANO
Le anime che restano
sono l’oro dell’ombra vinta
nella miseria degli angeli,
la schiera dimenticata
e terrestre di giovani muti.
La foglia rigonfia nella formica
che guarda, che anche
nel pensiero ci nutre.
*
LA POVERTÀ DELLA LUCE
La povertà della luce senza immagine,
la madre sola a dare figura.
Ma i portatori di fiori
nella superficie dell’assenza
restituiscono ciò che il sole nasconde
e resta nel conversare del buio.
Lo devi sentire, lo devi pensare
l’arrivo, il suo ritorno
nello scioglimento del ghiaccio.
Noi non vediamo tutto.
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Gian Piero Stefanoni, poeta e critico letterario, è nato a Roma nel 1967 dove si è laureato in Lettere moderne; ha esordito nel 1999 con la raccolta di poesie In suo corpo vivo, Arlem (premio “Thionville” sezione poesia in lingua italiana e premio “V.M. Rippo” del comune di Spoleto per Opera prima), a cui sono seguiti, oltre ad alcuni in digitale, diversi titoli, l’ultimo dei quali Lunamajella, Edizioni Cofine 2019. Suoi testi, oltre che essere stati pubblicati in antologie e riviste letterarie, sono stati tradotti in Spagna, Malta, Grecia, Cile, Venezuela, Argentina. La sua poesia ha ricevuto riconoscimenti e attenzioni della critica. Già collaboratore con le riviste “Pietraserena e “Viaggiando in autostrada” è stato redattore della rivista di letteratura multiculturale “Caffè” e, per la poesia, della rivista teatrale “Tempi moderni”. Dal 2013 è recensore di poesia per “LaRecherche.it” (nella cui collana LibriLiberi, in formato digitale, è uscito nel 2017 il lavoro sulla poesia in dialetto della provincia di Chieti La terra che snida ai perdoni) e dal 2014 è giurato del Premio “Il giardino di Babuk-Proust en Italie”.