Forse ci rincontreremo ancora
là sulla riva del mare e ci ricorderà
questo mio averti veduta come in sogno,
di che pasta sono fatti i destini:
miriadi di fili intrecciati tra le dita,
che sembrerà non sia passato un solo giorno
da questo nostro incontro,
ma tu non fingere di non avermi avuto
accanto, di non sapere cosa significhi
l’attesa del giorno, l’odore del buon mirto
invecchiato, come di un amico lontano
che tende la mano per salutarci,
lì dove il maestrale è di casa e il Megonio
saprà di attese di anni e speranze
incustodite in fondo al cuore
che parleranno di te come a me
ai figli di domani, di questa terra, la tua,
questa resa che dà colore ai giorni,
che ci illumina forte sul viso
tra i capelli e gli occhi scuri
verrà come vieni tu dal mare
e sarà il vociare indistinto dei bambini
il gridore dei gabbiani al primo sole
il risolino nei paraggi dei vicini di ombrellone
e sarà inverno con la mareggiata,
le prime nebbie di umidità al mattino
la luce offuscata e tu in penombra, che vieni
nel cammino, come di stella
che si eclissa dietro al sole, o
una speranza timida nel ricordarci.

*

Lascia che vada incontro la mia voce
che chiarifichi sulla soglia, faccia giorno
sui nostri corpi, come nelle mani
in cui siamo stati, ci ritroverà forse,
per distese che neanche io conosco
velate di malinconia, lì dove vivono
i miei sogni, terra altra che mi abita,
parlerà oltre confine di te e sarà apparente
questo fingersi esuli sulla Terra
questo eterno peregrinare
che potrai dirmi di non conoscere
o credere vicini questi passi
oppure lasciare che gli vada incontro
e amarmi come ti amo
e perdonarmi ancora
questa evanescenza carezzevole
questo lascito che in pochi leggeranno
con il tuo nome e sarà uno scoprirsi
fragili, un dirsi unicamente figli
di questi anni.