da “Cuore” Interno Poesia Editore 2021
a cura di Sabrina Stroppa
Da: Inverno dello scrivere nemico
Ma di questo assai sereno annoiarsi
quanto si garba l’animo mio, quale
distratto, in questi giorni così arsi,
è e conviene; pure se quest’ale
prendo e mi volo per i riarsi
sentimenti esangui, esposti alle
mature stille di flutti tersi
che l’onda nella sabbia arsa da le
lontane rive spande, pure, sento
contrarsi un fremito, e assopito
mi sveglio e veglio ancora il canto
di quest’acqua che distratto séguito
a distrarre da me come se un canto
qual è, mai forse udito, è quel che medito,
sa dirmi cose care a mio mal vezzo.
*
Da: Lettere musive
Non luci non serene passioni di
nuda castità dimorano gli umani,
ma vagabonde mete ed improvvise
rauche voci come fosser nodi
d’un filo che circonda, perimetro,
la rete che pescano; refe, mite
artificio che sospirando filano
arcolai opachi come vetro,
e pur d’umane ammende è colma sfera
ogni speranza, lume nuovo vedo
nel filo nel vetro, dietro la vera
vita la sorte ch’è un sospetto, sete
appagata d’altra sete, serica
brezza che muove cespi dell’erica
minuta; tela che ha perle rosee
luci serene occhi degli umani.
*
Da: Versi
Prigioniero in una torre deserta,
e altre torri il comune atrio
circondano e corre tra vuote
camere che fuori danno
su campi vuoti assorti
una lunga navata dove
fermano i cantoni cumuli
di neve rischiarata da linee
di luce lunghe fredde, e l’ombra.
*
un cespo di rose selvatiche,
bianche nuvole monde, è quel ch’io vedo
da questa vuota corte
di mura sghembe, riparo
gli occhi con le dita serrate,
tra pietre e cielo avversi.
*
una buca tra dune è recinta
di cespi stenti bianchi, io, chino sul fosso,
imito il gesto antico di bere, un cantico
d’acque per sempre scomparse
distrae in quella buca ogni
mio sogno, nuvole in alto posano
ombre loro, leggere
*
Da: Ultimi versi
la notte ha reso le pareti bianche
della mia stanza e le parole bianche,
i petali della rosa sfioriti
su le pagine aperte dei Riti
di Castità, io non so più mentire,
tra le mie morte cose vivere,
seguitar me m’abbandono, canto
e di mai veri ricordi l’impazzire
del mondo e le sue rime serrate, io,
sono quasi cieco attorno a me la notte,
vivo già morto e affanno a cose cieche
che una cieca pencolante illumina,
la luna dal lucernario azzurra,
il letto bianco.
*
Da: Cuore
A scrivere ho imparato dagli amici,
ma senza di loro. Tu m’hai insegnato
a amare, ma senza di te. La vita
con il suo dolore m’insegna a vivere,
ma quasi senza vita, e a lavorare,
ma sempre senza lavoro. Allora,
allora io ho imparato a piangere,
ma senza lacrime, a sognare, ma
non vedo in sogno che figure inumane.
Non ha più limite la mia pazienza.
Non ho pazienza più per niente, niente
più rimane della nostra fortuna.
Anche a odiare ho dovuto imparare
e dagli amici e da te e dalla vita intera.
*
Da: Sillabe
Adesso io ho una nuova casa, bella
anche adesso che non v’ho messo mano
ancora. Tutta grigia e malandata,
con tutte le finestre rotte, i vetri
infranti, il legno fradicio. Ma bella
per il sole che prende ed il terrazzo
ch’è ancora tutto ingombro di ferraglia,
e perché da qui si può vedere quasi
tutta la città. E la sera al tramonto
sembra una battaglia lontana la città.
Io amo la mia casa perché è bella
e silenziosa e forte. Sembra d’aver
qui nella casa un’altra casa, d’ombra,
e nella vita un’altra vita, eterna.
*
il mare è vasto e azzurro come il cielo,
e di questa ritmica melodia
vibrano foglie e fiori e le chiome
ampie dei pini. La malinconia
un tempo m’afferrava quando, vecchio
calligrafo di grigi fogli, ferro
e fuoco sono i versi, della casa
mia infinita, le persiane verdi
e il rosa scialbo e l’edera già grigia,
io sognavo inutilmente. Adesso
io amo questa nostra vita mite
e quei colori e quei versi, e tutta
infinita grandezza e la pazienza
del nulla attorno a queste sillabe
*
in cielo i nuvoli son grandi vele
bianche, velieri. Io voglio per mare
un fondo di bottiglia e davvero
esitare a scrivere, non vere
le parole han bisogno di severe
prigioni dove snebbiare; più terse
allora seguiranno il verso giusto,
più vere eviteranno le maldestre
oasi d’ambiguità che son rare
ai deserti e frequentissime dove
il deserto è la folla degli errori,
e degli uomini incerti qui nei mari
d’assenza e di dolore. Come fiori
di mandorlo e di pesco le parole.
*
Abbiamo nel cuore un solitario
amore, nostra vita infinita,
e negli occhi il cielo per nostro vario
cammino. Le spiagge i cieli, la riva
su cui sassi e rovi e il solitario
equisèto, e colli erbosi grassi
rioni, città dispiegate come
belle bandiere, e nude prigioni.
Questa è la nostra vita. Questi nostri
volti vagabondi come musi
di cani ci somigliano. Il vento
il sole le corolle rosse e blu,
i sogni mai sognati i nostri sogni.
Questa è la nostra vita e nulla più.
*
Di questa fede muta ed eterna a che
m’avvedo d’aver sempre eterna sete
ch’io la voglio sorgiva in ogni dove,
di questa nuda cavità nel cuore
che non si prova e non s’empie nel cuore,
ma come a versar s’empie per tutto,
e raccoglierne il frutto è l’amorosa
gioia del cieco che a tentoni muto
viene a vedere e cieco azzittisce.
E di me entro e fuori più non vede
chi volesse seguitare il corso suo
dei pensieri fino a comprender fede
di quel ch’io posso esser, di che sono,
altro che d’ombre vaghe e riccioli
di sole e ombra d’ali e ombra.
*
Beppe Salvia (Potenza 1954) nel 1972 si trasferisce a Roma con la madre e il fratello, cambiando spesso casa e alternando la vita romana con alcuni viaggi in Sicilia. Inizia a pubblicare poesie in rivista nel 1976 (su «Lettera» e «Nuovi Argomenti»), frequenta i laboratori di poesia di Elio Pagliarani. Fonda nel novembre 1980 la rivista «Braci» insieme a Claudio Damiani, Giuseppe Salvatori, Arnaldo Colasanti e Gino Scartaghiande. Fin dall’ottobre1980 pubblica sulla rivista «Prato pagano» di Gabriella Sica le sue Lettere musive e partecipa a riunioni redazionali. In entrambe le riviste vengono pubblicate sue sillogi poetiche o “corone di sonetti”, che si distinguono per il tono peculiare, alternante elegia e tragedia. Muore tragicamente il 6 aprile 1985. Alcuni degli amici più stretti ne ricordano la figura, qualche giorno dopo, sulla pagina culturale del «paese sera», dando inizio a una sua tenace leggenda, che in tempi recenti si è nutrita anche di studi e pubblicazioni di taglio accademico. Nel 1985, dopo l’improvvisa scomparsa, esce subito il suo primo libro, Estate, con lo pseudonimo di Elisa Sansovino, nei «Quaderni di Prato pagano». Alla fine del 1987, presso Rotundo, esce Cuore (cieli celesti); nel 1989, nelle Edizioni romane della Cometa, il diario poetico Elemosine eleusine.
*