Anterem Edizioni 2024
Riflessione critica di Giorgio Bonacini


La fiaba come territorio metaforico e archetipale: dove impera la prova del fosco e dell’incerto, per divenire ulteriormente sé stessi; aderendo a quell’alchimia di predestinazione e libero arbitrio che, come un soprannaturale dettato, tutt’attorno si dipana. Ma anche la fiaba che affiora con varianti cupe e stranianti, come la scena finale del Woyzeck di Georg Büchner: che viene a ibridare il lupo di Cappuccetto rosso con il soldato tradito e mosso al delitto; o a traslare in versi la narrazione a impulso – selva grafica di viscerali segni e accadimenti – dell’Oltremai di Lorenzo Mattotti.
È in questo teatro arcano e visionario che Daniele Barbieri pone la linea tematica della sua più recente raccolta poetica (Rosso, Anterem Edizioni 2024, riflessione critica di Giorgio Bonacini), lavoro raffinato, diviso in quattro parti: Erbario vivido, in cui dichiaratamente riecheggia la Ilse Aichinger di Giusi Drago; Rosso, con chiari riferimenti alla favola per antonomasia, rielaborata in simbolismo e distorsione; Oltremai, ispirata all’omonimo volume di Lorenzo Mattotti; e infine Robert Capa, componimento singolo che evoca il D-day come appare nelle fotografie dell’omonimo artista: l’aurora dello sbarco in Normandia, in un’atmosfera larvale e nebulosamente epifanica, dà il suo luttuoso presagio tra i flutti. È con quest’ultimo abbozzo lirico, che l’autore stesso definisce abortivo, ch’egli conclude la sua apertura espressiva sul reale: con un momento di sinistra sospensione, prima dell’interumano scontro.
“Naturalmente – scrive Giorgio Bonacini nella puntuale riflessione critica con cui accompagna l’opera – trattandosi di scrittura poetica, il corpo del dire favolistico (se così possiamo chiamarlo) delle prime tre sezioni non si sviluppa attraverso un andamento narrativo, ma utilizzando elementi di scrittura che si combinano in molteplici rappresentazioni dove ‘la nuvola del senso’ prende forma attraverso diramazioni di immagini che si espandono in parole nitide o raggomitolate, ma sempre intrise di consistenza e fisicità. E questo anche là dove si rileva e si sente una leggerezza che non è mai evanescenza, ma esaltazione, pur delicata, di luminosità materiale”.
E davvero si percepisce, in maniera quasi tattile, un’investitura quantica, una vibrazione interna ai versi, febbrile ma concorde: come uno stato di flusso per coerenza neuronale, una ricorrenza ondulatoria che muove e solleva le particole del testo: rendendone efficace il dire, l’evocare; e con una fedeltà ritmica che genera un organismo lirico e concettuale compatto, immaginoso e geniale: una coreografia di vegetali danzanti e oscurità inchiostrate, dove le ombre sono più reali del vero tangibile.
Rosso è un seducente viaggio onirico, contraddistinto da una pregiata opulenza ritmica e lessicale, da un’esemplare versificazione, ricca di fluidità e policromie: un tragitto tra erbari allegorici e fiabe difformi, con improvvisi squarci di meditazione metapoetica ed esistenziale: a delineare un disincanto a margine, fatto d’illazioni minime, da scoliaste. Note in levare di una narrazione fluttuante e fascinosa, che ondeggia tra fantasticheria e nitida visione, tra diario intimo e sua rifrazione corale e planetaria.

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Dalla sezione:
Erbario vivido (favole nello sguardo)

Ammi majus

che ci sono tre mondi nel creato: la tronfia raggiera
dell’essere, la nuvola del senso, le rassicurazioni
del vedere, per quanto fuori fuoco – tra le cose fili
di ragno a collegarle, impalcature inutili, ma belle,

sopra le cose insetti, scarabeidi oscuri, duri e piccoli,
affamati di zuccheri e di sole, la raggiera esplode
ostinata, stabile, sostenendo tutto, sulla nuvola
gli dèi governano, pieni di luce, garantendo tutto,

che ci sono tre mondi dentro un fiore, un’illusione ottica,
una deriva, la ruggine un cancro nel ferro del mondo

Ammi maius


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Centaurea scabiosa

esigono attenzione queste cose, bisogna ascoltare
i vetri che si infrangono nel fiore, petalo su petalo,

per propagarsi nelle mille e mille minime esplosioni
sul prato, al limite del bosco, luce, buio, filamenti
che insistono, rimani con me, tienimi stretta la mano,

racconta come il fiore ti cattura, ti accende di rosso,
inonda il cielo di scaglie di vetro, ti graffia le guance
a sangue, lancia tutt’attorno vetri rotti sullo stelo,
vetri neri sul giorno, attenzione esigono le cose

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Petunia hybrida

gloria della tua pelle appena viola dai gridi dei vasi,
dalla traccia rocciosa, poi dall’orlo cucito dei prati,
è l’ombra che ci brucia, nell’odore delle notti a luglio

sotto la luce che oscilla, sfarfalla, volano le sfingi,
corrono voci troppo vere, troppo grandi, gloria della
notte che non finisce, appena viola oppure bianca, o a strisce,

il lampione balbetta, coleotteri cornuti impazzivano
lungo i gradini, gloria del profumo dall’orlo slabbrato
dell’aria umida, del non finire mai più, mai più, mai più

Petunia hybrida


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Plumbago auriculata

nella figura di Giuda impiccato appeso alla sua corda
che dondola e poi dondola coi trenta squillanti denari,

nella figura del fiore celeste che il vento sospinge
qua e là, qua e là, e sono d’oro quelli già secchi, già andati,

non potete lasciarmi qui, paura di essere anch’io quello
che ha tradito e tradotto l’innocente alla morte, oscillando

adesso e sempre con l’oro che tintinna e riluce nel sole
tra le sue lingue azzurre nel bagliore sfiancante della storia

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Cirsium palustre

non c’è colore qui, soltanto spine, tormenti sul corpo
del Natale, e c’è un ragno, grande, con l’agonia più lunga
dell’insetto, una piuma mima la forma feroce del cardo,

non c’è decorso qui, le spine dure al bordo dell’inverno
fanno corona al mito, dolorose mi cingono le tempie,
l’insetto freme, altri aculei mi stanno svuotando, voraci

Cirsium palustre

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Dalla sezione:
Rosso (guardando la favola)


La prima preda

quando si muore si muore, bussando con voce gentile
alla casetta dai gerani rossi e bianchi, in fondo al prato
dei trifogli, che basta uno spiraglio appena per irrompere,

ed ingoiare, trionfare, sentirsi re, guardarsi attorno
ora la casa è sua, può aspettare la sua preda vera,

sognare, sotto le coperte, dentro i suoi vestiti, un altro
più sostanzioso ingerimento, dorme, non dorme, in attesa

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Dalla sezione:
Oltremai (schegge di favole)


il dubbio rompe gli argini, camminano sopra il crinale
le figure scampate all’ombra, alberi dietro di loro,

alberi piccoli, avanti, lontani, sotto, il cielo a strisce
che si inarca, impellente, pone argine al dubbio, l’errore
vive dentro di loro, vive nella luce forte, esatta,

che proiettava l’ombra sulla strada del mondo, perché
bello e inumano è il mondo degli esuli, nulla appare noto

Lorenzo Mattotti, tavola da “Oltremai”

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avesse un centro il tempo e noi guardassimo dall’occhio fermo
del mondo l’avvenire progressivo delle ore degli
anni di tutta la storia del mondo ecco che verrebbero

incontro a noi la strega bassa e grassa e l’uomo stecco sgorbio
nero che porta dal fondo la gabbia col gatto-vampiro,

e noi sappiamo quello che accadrà, noi restiamo fermi

nel nostro mondo-nulla, l’ombelico della conoscenza
che tutto spiegherebbe, se ci fosse luce, tempo, centro

Lorenzo Mattotti, tavola da “Oltremai”


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Dalla sezione:
Robert Capa (un ultimo sguardo)


è l’alba del sei giugno del quarantaquattro, i soldati
nell’acqua grigia e fredda dell’ Atlantico, sfocati, mossi,
tra i cavalli di Frisia dell’Atlantico, solo spavento
ci circonda, sfocati, vivi pochi momenti ancora

Fotografia di Robert Capa


Rosso di Daniele Barbieri è l’opera vincitrice della sezione storica del XXXVII Premio Lorenzo Montano: “Raccolta inedita – Biblioteca Civica di Verona”


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Daniele Barbieri, di formazione semiologo, si occupa di ricezione testuale, e, più in generale, di problemi riguardanti il visivo, la narrazione per immagini e la poesia, temi su cui ha pubblicato ventitré volumi (di cui alcuni tradotti in lingue estere) e oltre 450 articoli, svolgendo un’intensa attività didattica e di ricerca.
Ha insegnato all’Università di Bologna (1995-96 e 2001-2009), di Roma (1996-98), di Urbino (2001-2009); presso il Politecnico di Milano (2007-2008), la SUPSI di Lugano (2007-2013), l’Università di San Marino (2014 a oggi); presso gli ISIA di Firenze (1996-97) e Urbino (1996 a oggi), presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna (dal 2007, dove è oggi di ruolo) e l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino (2012-2013). Ha pubblicato numerosi volumi di carattere critico, in alcuni dei quali si parla anche di poesia: Nel corso del testo. Una teoria della tensione e del ritmo (Bompiani 2004), Il linguaggio della poesia (Bompiani 2011), Testo e processo. Pratica di analisi e teoria di una semiotica processuale, (Esculapio 2020). Ha pubblicato tre volumi di poesia (La nostra vita, e altro, Campanotto 2004; Distonia, Kurumuny 2018, La lepre di sangue, Arcipelago itaca 2022) e un’altra raccolta (Canzonette) nel volume Emozioni in marcia (Fara 2015). Sue opinioni, anche sulla poesia, sul suo blog www.guardareleggere.net