Book Editore 2023

Ildegarda di Bingen, monaca radiosa di splendori, aveva nel cuore il respiro del creato, e lo porgeva scrivendone gli elementi, le gravitazioni, le disposizioni e i bagliori che le apparivano come simboli ardenti: ombra della luce viva che operava in lei, rivelandosi in potenze simboliche e concentrici firmamenti. La sua mano, profondamente accompagnata, schiudeva la sapienza intuita in prosa e poesia, miniava in arte le sue visioni teologiche, dava partitura a monodie di lode e preghiera, coniava vocabolari segreti: la sua lingua ignota era un glossario d’amore, più di mille nuovi termini per delineare l’indefinibile che l’abitava.
Similmente, è alla precisione della materia radiante e all’intima armonia dei rapporti musicali che Silvia Comoglio rivolge lo sguardo, e dedica linguaggi stranieri, lemmi candidi e illesi, avvolti in amnio di acceso presagio, nel suo più recente lavoro poetico Il tempo ammutinato (Book Editore 2023), che riprende una ricerca semantica, sensitiva e ritmica di lunga data. L’autrice stessa annota, in coda al testo, che Il tempo ammutinato prosegue una “testimonianza di come esistente pensiero e parola siano in continuo movimento nascente”, fondato sull’essenza della parola stessa, “sugli infiniti grembi che […essa], nel suo essere vita e creazione, contiene”.
Tale ricerca, coerente negli anni (anche qui), mette a fuoco l’istante in cui lo sguardo poetico sul mondo si solleva da visione a intuizione molteplice, e la presenza al manifestarsi dell’evento percettivo o spirituale diviene dire, proferire, riferire: facendo sincope, con gioiosa obbedienza, alla monotona orizzontalità della diacronia.
Nel “Sempre che si accosta a ogni nostra ombra” una “brezza”, “angelo che tocca l’altezza della bocca”. Ne viene un canto esile, una partitura di “u-signoli stupendi”: una sinfonia sognante di diesis rivolti al cielo, pause e pentagrammi disabitati, passetti di crome, distese di minime e semibrevi; slittamenti o salti di toni e semitoni, intermezzi, approdi impalpabili dall’oceano del creato, in cui Dio riversa “le sue brocche”.

in-apice-di-sete: è questo – / il chiavistello?”

si chiede la poetessa, confermando una tradizione millenaria di fulgida mistica negativa: la vacuità, che è povertà in spirito, ammutinamento dai bilanci di ogni concretezza del dare-avere, commiato spaziotemporale guidato dal desiderio dell’oltre, eleva i sensi a isole di evanescente “microchiarore”: schiude il sentire esile e abissale della poesia.
Ecco che il dire poetico diviene pienamente sé stesso, laddove si mostra come linguaggio alieno e insieme intimo, connaturato: unico idoneo a restituire quei tratti conoscitivi multipli – acustici, visivi, psichici – lungo i quali corrono vie cerebrali mai esperite, e a un tempo antichissime. Il poeta non crea dal nulla ma fa muovere, permette il movimento dello Spirito in canali sinestesici di senso: un disciogliere e addensare immagini adese al Vero, mai esaurendolo: piuttosto arpeggiandone ipotesi ed esempi, che ne siano gloria nella bellezza. Complici in questo i corsivi, i segni diacritici, paragrafematici, le notazioni musicali: orti fioriti, chiostri policromi in cui s’apre l’intuire verticale dell’istante perfetto, che rende il giusto tributo a questa semina fedele, perseverante di lucentezze.
Come una menorah dai sette bracci, “candelabro celeste”, da un solo pezzo d’oro puro battuto (Es 25, 31), in cui calici, bulbi e corolle dei fiori di mandorlo sono tutt’uno coi supporti alati che portano i tanti bagliori: un solo lavoro a martello, che fa luce avanti a sé (Nm 8,1), e instancabilmente suggerisce e illumina, sull’adito della stanza segreta.
L’opera di Comoglio, in questo senso, è un continuo sci vias lucis in parole, musica e immagini evocate, in cui traspare la ricchezza di più livelli di coscienza: come nella tavola miniata dei nove cori angelici di Ildegarda, in cui la natura umana e quella serafica sembrano compenetrarsi e integrarsi in una danza di equilibri celesti, intrisi di reciproca carità e irradiati di salvezza condivisa nella luce.

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Da Il tempo ammutinato (Book Editore 2023)

                              tu, allora, fiorisci –
                              in rottura di parola? tu –
                              specchiata
                              ombra immedicata

*

dunque, fu detto, la portata di ogni nuovo tempo
è fiorire in rottura di parola nel Sempre che si accosta
ad ogni nostra ombra

*

e dunque  la fuga  che sola emerge  è il mondo –
che muore, muore a labbro?
         (accalcato, il labbro, all’estremo
          cuore della luce)

*

ma, è profilo, profilo –
smussato a labbro, dove,
cantando, abbellisci –
a squarciagola?
           (dio, inciso, dove era mondi questo –
            sollevarti accanto alla mia voce come se io fossi
            sola tua memoria)

*

è allarme, allora, la voce
che prego di guardare
nel dono del suo peso?
           (impensato –
            bacio appena stato,
            terra buio o sogno
            sott’acqua
            già imbarcato)

*

ma, ondeggia, forse a squarciagola.
la terra sull’albero salita?
           (iddio, scritto, a cambio di impronta,
            come se rifugio tenero a delirio)

*

ma è perso, iddio, per il bosco?
              (per il bosco, il bosco, che è folle interamente
               di luna e di preghiera, di sillaba rimasta, a lampo,
               sulla bocca, come origliante!   fede estrema)

**

    ma, lo vedi?, tutto, tutto è parola
    dove è suonato, sacro a scrittura,
               l’urlo di oca, lo sguardo.
               a sbocco di fiore, stríato volante

*

… e, lo vedi?, iddio,
iddio nel mare, è solo –
acqua a parola –
iddio, iddio che sciolse,
sciolse nell’ acqua, tutte –
tutte le brocche

*

                       ( … nell’acqua la Sua pelle  io –
                       vidi supina sciogliere brocche …)

**

              (e) hanno   rive di quando  i fiori
              storti a radura? piumate –-
                          ombre di pietre, che sono,
                          in terra, dette a misura?


            ma, i fiori, in-
            tessuti
                         ad ala nel prato
                         ora –
                         mi suoni divini?


Gustav Klimt, Giardino di fiori (particolare), 1905-1907


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In sol maggiore

stanotte sono chi racconto : pausa
disgiunta da memoria: vera rosa –
ricurva di follia –

        (generarti a nome del mio tempo fu l’unico segreto,
         del labbro, appena, fessurato …

         … allora, fu detto, è acuta forma di radice
         lo sguardo appena srotolato in sillabe di nomi
         incessanti e già caduti

         … rose, ritorte di sibille, di mondi –
         a voci irregolari, leggermente, negl’occhi, arti-
         colate …

         … la distanza tra sillaba e sibilla è allora –
         mantice di casa a luce soffata inter-mittente?

          … fui qualsivoglia-tuo-reame   terribile e vivente,
         l’urgenza che prego di guardare nel dono del suo peso …)

Gustav Klimt, La musica, (Il fregio di Beethoven), 1902


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In do maggiore

fiori contro fiori gli assoli di gennaio
… modo, modo eterno, di dire e sillabare
sono stelo – e ombra mite a suono

     (amo il solo amare che appare in orizzonte
      del tutto senza ciglia : terra comparsa alla mia porta,
      cóme, come mondo, ai márgini del mondo

qualsivoglia-tuo-reame  terríbile e vivente …)

**

In sol maggiore

la riva di cui si tace   è fischio
che stringe nudo
orti dirimpetto, e terre, nel sogno,
gocciolate: incantate sentinelle
implumi  sulla lingua : silhouette,
mute, di sibilla

     (strana luna   corsa tra le porte
      la luce, a sete, dissipata

… strani fiori –
a guado, appesi, di parola

… e iddio a rossa rosa chiara
ritorta di sibilla
implume  sulla lingua …

e, e ricorda: qualsivoglia-tuo-reame
terríbile e vivente)

**

                                 … ímmortale  proclamo te
                                nel tempo ammú-tinato?

Gustav Klimt, L’inno alla gioia, Il fregio di Beethoven, 1902

*

(ma): fu nitore –
áppiccato nudo
dove, iddio, discese –
a nodo appena sciolto?

*

e dove fu nitore –
        (á-ppicato nudo!)
fu tempo, dite, ammutinato?
iddio disceso a dono
fin dove, in apice di sete,
la térra   tu síllabi a deriva?

**

in-ápice- di-sete: è questo –
il chiavistello?

*

Silvia Comoglio (Chivasso, 1969) è laureata in filosofia. Tra le opere pubblicate: Ervinca (LietoColle 2005), Canti onirici (L’arcolaio 2009), Bubo bubo (L’arcolaio 2010), Silhouette (Anterem 2013), Via Crucis (puntoacapo 2014), Il vogatore (Anterem 2015 – Premio Lorenzo Montano – XXIX Edizione – Sezione raccolta inedita), scacciamosche (nugae) (puntoacapo 2017), sottile, a microchiarore! (Edizioni Joker 2018), Afasia (Anterem 2021), În ape de tăcere/ In acque di silenzio (Editura Cosmopoli, Bacau 2023).
La sua poesia è stata tradotta in Inglese e Romeno e in particolare il testo Terezin scritto per Margit Koretzovà e Rozkvetlà louka s motyly, Le farfalle (il disegno che Margit fece a Terezin dove fu deportata nel 1942 con l’intera famiglia prima di essere trasferita ad Auschwitz) è stato tradotto in Inglese, Francese, Spagnolo, Tedesco, Romeno e Ceco.
Sue poesie sono apparse nell’antologia Il segreto delle fragole. Poetico diario 2004 (LietoColle Editore, 2003), nei blog “La dimora del tempo sospeso”, nel sito di Nanni Cagnone e Gian Paolo Guerini, nelle riviste “Arte Incontro”, “Il Monte Analogo”, “Le Voci della Luna”, “La Clessidra”, “Italian Poetry Review”, “Il Segnale”, sulla rivista giapponese δ e nelle riviste on-line “Carte nel vento”, “Fili d’aquilone” e “Tellusfolio”.
È presente nei saggi di Stefano Guglielmin Senza riparo, Poesia e Finitezza (La Vita Felice, 2009), Blanc de ta nuque, primo e secondo volume (Edizioni Dot.com.Press 2011 e 2016) e La lingua visitata dalla neve (Aracne 2019); nell’antologia Poesia in Piemonte e Valle d’Aosta (puntoacapo 2012), in Fuochi complici di Marco Ercolani (Il leggio, 2019). Fa parte del Comitato di Lettura di Anterem Edizioni e della Giuria del Premio di Poesia e Prosa Lorenzo Montano.