Questo figlio che vedi, non è tuo;
non sono tue le preghiere, i lamenti,
l’ora buona dopo cena. Non è tua
la paura, il sogno, la cicatrice
che credi di avere. Tuo, forse, l’abisso,
la poca fortuna, l’angolo di cera
che piano si consuma; l’odore
di campagna, la parete rosa,
le scale ancora rivestite di cemento.
*
Sei nella casa del padre
che accoglie il verbo per farne
pietra.
Sono io la radice
della tua bocca, latte che sgorga
da tutte le parti.
Tu, il fungo da dissetare,
feto senza braccia, guscio
di uovo rotto.
*
Miseria, perdona noi
madri
senza figli, siedi accanto
al cranio
imprigionato nell’osso
chiedi scusa alla tigre
custodita nel grembo
separa la morte
da quello che siamo.
*
Sei nato morto
con la testa grande,
le palpebre controluce
hanno mangiato bacche e gelsi.
Dentro,
nessun abominio scomposto
– un occhio ascolta la terra –
la terra ci libera dal male.
*
Cercando una stella nell’ora blu
ho visto te, bambino di sale.
Col corpo di marmo,
di stagno, di un solo strato;
muovevi le braccia in segno
di pace.
“Mamma mi vedi? Son fatto di buchi”;
col corpo di luce, di aria,
di pane sputato.
“Sono polvere, io, senza futuro”.
*
Testi tratti dalla silloge inedita Madre che resta.
*
Patrizia Baglione (Arpino, 1994), già laureata in Scienze dell’educazione, studia per conseguire la Laurea Magistrale in Linguistica Moderna. I suoi testi sono apparsi in diverse riviste letterarie on line: «Poetarum Silva», «Le parole di Fedro», «Transiti Poetici», «Poesia del nostro tempo», «Atelier». Ha pubblicato La mia voce (Quid Edizioni 2019); Malinconia delle nuvole (Kimerik Edizioni 2020) e Nero crescente (RPlibri 2022); nel 2020 ha vinto il Premio Kalos alla Cultura; scrive per «Le parole di Fedro» e «Laboratori Poesia».