Marco Saya Edizioni 2023
Siamo particelle di moltitudini, governate in piccoli regni le cui frontiere graffiano la Terra; dove chi regge e decreta “mischia lutto e talamo”, per distrarci dallo strazio. Il poeta, l’artista, tra inerzia del contesto e propria anomalia, si rinnova nel gesto creativo, si fa colpevole d’esporsi, come a chiedere giudizio: opera violenta lo scrivere, che chiede affondo e “palingenesi”.
Stefano Guglielmin nel suo più recente lavoro poetico Un regno di ciechi senza doni (Marco Saya 2023) ripercorre il dramma di Amleto, eroe imperfetto in Elsinore, contrada trasognata di spettri; il principe giustiziere è malato d’indecisione e solitudine: è l’emblema del singolo sul margine che scotta.
Si ripetono nei millenni gli archetipi, ogni leggenda nelle vicende reali fa spirale, si attenua e si compie, sbiadisce ribadendosi. Seth uccise e mutilò il fratello Osiride, e la sua sposa ne ricompose le membra per generare Horus, il vendicatore.
Ma Amleto versa nel “cubo”, concamerato ventre che genera, poi nutre e condiziona. E, oltre il limite del convenuto, il mutamento necessario è gravoso, una sanguinosa sovversione: tra noto e ignoto, il baratro di gioia, la via sottile e precipite del vivere.
“Fuori testo” il poeta annota le chiose dei ricordi, delle assonanze: la propria vita è una piccola stanza che riproduce tratti e fraseggi delle grandi narrazioni di sempre, nella dialettica tra le radici e l’ulteriore circostante: dove il disordine apporta nuovi elementi in distorsione, forgia alle evenienze, induce alla cattedrale della personalità.
La storia percorre la propria concretezza in ritmici ricorsi: i regnanti ipocriti e usurpatori, lo smarrimento delle masse; e come si dispongono le cose, in zone d’ombra ed equilibrismi, tra vertici e basi di ondeggiante, confuso consenso.
Allora fare come Amleto: fingersi pazzi, rinnegare l’amore, procrastinare l’esito inscritto nell’origine, il destino dell’eroe: il mito rivive continuamente nei caratteri e negli accadimenti, diluisce e cela i propri avvisi nelle insospettabili quotidianità che la vita ci pone accanto, via via modernizzandosi e perdendo molto del suo nerbo d’irrevocabile solennità. Se Oreste, come in Pirandello, vedesse entrare dallo squarcio i mali del mondo, diverrebbe Amleto: arma spuntata, cui cadono le braccia. E tuttavia gli antagonismi dell’asse padre-figlio, le edipiche affezioni, le incertezze e viltà del cuore permangono in continua metamorfosi.
In Guglielmin, nella sua poesia, si respirano reiterate di opera in opera alcune benedizioni: l’ironia gentile, la stima per il femminile, una luminosa malinconia che si staglia da salde evidenze: dinamiche relazionali complesse fanno della nostra vita una macchina barocca di pesi e contrappesi che conoscono l’ingegno della rotta, ma anche la variante del sussulto inatteso, dello scarto. Nulla è determinato, eppure ogni particolare ha corso e direzione, criterio.
L’Amleto, dice il poeta, è opera sincera: rileva, di ognuno, l’impossibile uscita dal dramma, la tragicità del vero: grembo e grata, abbiamo provenienza che ci modella e soffoca: nella famiglia, nutrice tentacolare, è il dedalo necessario per strutturarsi alla complessità della luce.
Le roi se meurt, Eugène Ionesco sa del fallimento che attende ogni presunzione secolare: le umane glorie e installazioni vengono inghiottite in silenzio dall’originario e dal naturale, mostrando per intero la propria vacuità. Basterebbe forse rovesciare il diagramma, dare credito a quell’agognato cavaliere che sapesse fare la giusta domanda al Re Pescatore, al Re Amfortas: Che cosa vi strugge? Il segreto di sempre, la via angusta per far rifiorire la terra, è il concetto binario di presenza o assenza di amore.
Le nostre piccole vite, ci ricorda Guglielmin coi suoi “Fuori testo”, sono degli scholia a margine di epiche immani, già vissute e scritte, che in noi blandamente riecheggiano. Se la pienezza d’amore è negata per costituzione, tuttavia è possibile impennare, fare voluttà immemore, tergiversare nel bene viziando l’altro, e così viziandoci.
L’opera di Guglielmin è una sorprendente e raffinata riflessione sulla vita, nella continua dialettica tra contesto di origine, con le sue protezioni, nevrosi e condizionamenti, e le illusioni di libertà che coltiviamo uscendone, e per sintesi e circolarità rientrandovi: divenendo sempre più simili a noi stessi, nei giorni che ci vengono dati, via via mutando, interminabilmente.
Isabella Bignozzi
*
Scena seconda
Sala del consiglio della Corona
Re Claudio
Mischio lutto e talamo
per evitare il peggio; ad esempio
che lo strazio s’intrufoli nel mio azzardo
o che il popolo pianga, orfano,
o insorga.
Consolerò Amleto col buon senso.
*
Due grembi
C’è un cubo dove Amleto rincresce,
un cubo nel cubo: parola, madre, castello, regno,
un grande grembo plurimo dove Shakespeare
rivela che cosa sia un uomo, quale catena
lo tenga.
E c’è una fonte d’acqua lontana da loro,
altre parole, madri e ostelli, due grembi distinti
e capovolti, in cui s’abbevera la gioia.
Noi, nel mezzo, affondiamo.
*
Coro
Vendetta muove le civiltà, sino a spezzarle.
Soltanto Ofelia potrebbe salvarci, ma lei è assente:
amore è assente, assenti compassione e libertà
di non rimettere i peccati, di dare, in cambio
dell’offesa, l’abbraccio misericordioso.
*
Castello
Nel mio ventre, le famiglie sovrane,
i giullari, i cani. Sopravviverò a questo folle
che è stato fanciullo, neonato, nulla?
Nel nome degli avi che mi eressero,
proteggo la terra dal ruvido delle voci, la salvo
dall’atro potere che ora sventra le madri.
*
Il re è solo
Qui re Claudio è figlio di Eva, fratello di Abele.
Se lo ricorda versandosi il letame sulla testa, diviso
tra volontà e colpa. In una mano il pomolo del trono,
nell’altra la cognata. Come chiedere perdono?
Che cosa dare in cambio?
Ci vorrebbe il diluvio universale o un pugnale,
quello che non osa Amleto, padre di Gregor Samsa,
principe delle blatte.
*
Coro
Per placare l’ira di Amleto, servirebbe un monologo
materno, ma Gertrude non sa parlare: come Eco,
ripete a strascico i finali. In camera da letto,
guarda incredula suo figlio, si chiede quale laccio
lo strangoli, chi mai potrebbe liberarlo; forse re Claudio,
pensa, pagandogli il viaggio per l’Inghilterra
oppure il caro Yorick, se fosse vivo.
Sembra la regina di Tebe sotto l’assedio del fato.
*
Amletica 2
L’uomo si crea nel vivo dell’azione
o è l’onore a muoverlo tra i flutti,
a spingerlo nella selva, per riscatto?
A ripensarci: se complotta la vita, noi
ne patiamo le sferze, inerti; oppure
sono io l’unico stracco, il bislacco?
Nel dubbio, giuro vendetta e pensieri
di sangue, io esangue, principe mutilato
E se così, ancora principe allora?
*
Coro
Per evitare di farne un martire,
re Claudio escogita per Amleto una morte
in regola; fa leva sul sangue acido di Laerte
e sulla buona sorte: veleno nella coppa
e sulla lama, dice, arma appuntita; è solo un re
spaventato, che intrappola un giovane
spaesato, la cui sorella già corre per i Campi
Elisi, sola come una camola in un tronco cavo.
*
Stefano Guglielmin (Schio 1961) è laureato in filosofia, insegna lettere al liceo. È membro della Società filosofica Italiana e fa parte della redazione di Anterem Edizioni. Gestisce il Blog sulla poesia italiana contemporanea “Blanc de ta nuque”.
Ha pubblicato le sillogi Fascinose estroversioni (Quaderni del gruppo “Fara” 1985), Logoshima (Firenze Libri 1988), Come a beato confine (Book editore 2003), La distanza immedicata / the immedicate rift (Le Voci della Luna 2006), C’è bufera dentro la madre (L’arcolaio 2010), Le volpi gridano in giardino (CFR Edizioni 2013), Maybe it’s raining. Poems 1985-2014 (Chelsea Editions 2014), Ciao cari (La Vita Felice 2016), Dispositivi (Marco Saya 2022) e i saggi Scritti nomadi. Spaesamento ed erranza nella letteratura del Novecento (Anterem 2001), Senza riparo. Poesia e finitezza (La Vita Felice 2009), Uno sguardo (dalla rete) sulla poesia italiana contemporanea voll. 1 e 2 (Le Voci della Luna 2011, Dot.com Press 2016), Le vie del ritorno. Letteratura, pensiero, caducità (Moretti&Vitali 2014) e La lingua visitata dalla neve. Scrivere poesia oggi (Aracne editrice 2019). È inserito in numerose antologie, è stato tradotto in inglese, spagnolo e bulgaro. Ha pubblicato anche racconti, di cui l’ultimo è in AA.VV., L’occhio di vetro. Racconti del Realismo terminale, a cura di D. M. Pegorari (Mursia 2020).