poesie 2002 – 2022
Scalpendi editore 2023
Estenuati scenari urbani, un continuo scarto di senso che preme le cose nella loro muta esistenza: appuntite concretezze, schierate in assertività contraria, abitano la poesia di Giovanni Granatelli (Resoconto, Scalpendi, 2023) che ci restituisce, con patente, leale travaglio, un teatro di assunti geometrici, affinati su assi di vertiginosa esattezza.
Introspezione tesa e scarnita fino alla trasparenza, la meditazione del poeta è compartimentata in osservazioni crudelmente a fuoco sul reale, poste in un dettato di metrica sorvegliatissima.
Nel nudo incontro con affranti sconforti, Granatelli accondiscende talora a brevissime assoluzioni: la bellezza, il ricordo, gli affetti familiari sono l’onesto antidoto a un dolore antichissimo, pervasivo eppure restituito con misurata essenzialità e apparente, irriducibile distacco.
Duole, a tal proposito, una diffidenza verso l’Ulteriore che pare scagliare il poeta sulla mesta, pura materia, portandolo a un’orfanità costante, intrisa di nostalgia. Ubiquitari tuttavia sono i barlumi che indicano nei versi vocazione a un altrove a portata di mano, seppure negato con scaramantica timidezza.
Antologia densa e ponderata, Resoconto fa inventario regale e silenzioso di una vita in poesia, condotta nella discrezione di chi ha eletto un saldo riserbo a sede della propria puntiforme resistenza.
*
L’intrusa
L’estrosa invadente
– la luna al mattino –
disegna arabeschi
negli occhi dei figli
che fanno affidamento
per nuovi negoziati
sull’algida eloquenza
dell’intrusa:
castelli di sabbia
sfarzosi e potenti,
il sole ci tocchi
con dita paterne,
si mostrino elicotteri
e lucertole turchine.
*
Calore
Altra opera difficile:
conservare il calore
spostarlo dove serve,
farlo brillare
cospargerne l’intonaco
dei muri a settentrione
avvolgerlo agli utensili,
ai grumi della favola
strisciarlo lungo i viali
invasati dall’assenza.
*
Drago
Drago multiforme
della quiete senza pace
che scrivi col gesso
regole e righe,
sovrano di pezza
dai denti di orco
gonfio di panna
e cera per marmi,
medusa sedata
– paniere di truffe,
dalle sere di cristallo
che rilegano l’inverno
assisto agli spettacoli
che tengono compatta
la tua luce sinistra.
*
Muse
Muse per scongiuri
e guerre minuziose
cui tento di imparare
a pettinare i capelli
e mostro queste impronte
che ho lasciato
nell’asfalto
preghiere rasoterra
impresse a piedi nudi
facendo il saltimbanco
durante gli intervalli.
*
Ciliegi
La parola dei ciliegi
sul giorno più incompleto:
un ennesimo
splendore incomprensibile
che provi
– mostrandolo con zelo –
a non dilapidare;
petali volano
dentro l’abitacolo
e mani infervorate
traducono una musica
da cui sei raggiungibile;
c’è un suono che passa
anche attraverso
la linea del fuoco;
tutte le cellule
una per una
bruciano aspettando
l’invito a una festa.
*
Esterno. Inverno
Attraversando i giardini
– scarni come braccia
che cercano un linguaggio.
Annotiamo le scritture
dei passi sulla ghiaia:
lavoro di farfalle
all’opera nel gelo.
Le voci che si appoggiano
una contro l’altra
in prove di risposta
sognano le ore
e i campi sconfinati
di un pellegrinaggio.
*
Gelida
Il gelo prosciuga,
mortifica
e questo non lo avevi
messo in conto
come lo zigzagare
del respiro,
le brusche giravolte
per correre all’indietro
e tornare a toccare;
serpi e cianfrusaglie
nel cesto del linguaggio;
un sibilo violento
porta la tua firma.
*
Scena
Nell’entroterra:
prodigio di colline
e luoghi che ricordano
antichi sillabari
e nastri di asfalto
campi, tralicci
(enormi clessidre
svuotate dal vento)
e l’ineliminabile
rumore di fondo
della nostra presenza
e dei respiri
che si torcono,
sbiancando le nocche
contro i grumi dell’aria.
*
Rosse
Le bacche della siepe
– riesci ad osservarle? –
che sembrano assorbire
la musica autunnale
appunti incandescenti
dei suoni affastellati
sui vetri delle stanze
di queste rotolanti
arrochite preghiere
di questa sovversiva
nostalgia di una trama.
*
Orkestar
Maschere e costumi
di lontana provenienza
per scacciare gli spiriti
dalle acque del naviglio
danze magiche e ottoni –
per sgocciolare calore
sul nucleo fitto del gelo
per sciogliere la voce
alle strade irrigidite,
per spostare di una versta
più in là oltre il presente
la linea metallica
del confine acuminato.
*
Corale
Lo splendore polifonico
che ospita imparziale
qualunque ragione
o versione della visita
e c’inchioda incantati
in fondo alla navata,
quasi supplisse
almeno per frazioni
al niente roteante
al troppo che scompagina
la fragile struttura
di sillabe e origami:
conservalo trattienilo;
chiedimi a oltranza
di aiutarti a ricordare.
*
Milano. Dicembre
Molti –
quanti ne può contenere
la proliferazione
di cemento e di asfalto
di metallo e di vetro,
sciamanti in disordine
fra le chiazze di neve,
nelle più sparpagliate
direzioni diverse
e diverse posture
delle mani e degli occhi
ma tutti – nessuno scartato
marchiati per sempre,
feriti per sempre
dal brillio di infinito
scritto là in fondo
nella cruna dei viali.
*
Metronomo
L’assiolo
notturno metronomo –
prosegue instancabile:
emette dagli alberi
un discorso sonoro
dal codice estraneo
ai nostri sistemi;
non salta battute,
non concede interstizi
dove il tempo rallenti –
illustra imperterrito
la manciata regale
di minuti e di stelle
che non devi sprecare.
*
Sibilla
Le mani affusolate
della sibilla nell’affresco
svelano già intera
la dismisura della mente,
la fame senza quiete
annidata dentro gli occhi.
Producendo meraviglie
i maestri si tradiscono,
sulla pelle delle muse
dimenticano indizi,
segnali acuminati:
ogni figura di splendore
mostra il marchio di un miraggio.
*
Giovanni Granatelli (Catania 1965) vive a Milano. Ha pubblicato: Strategie di resistenza (Mobydick 2002), Giuramento (Mobydick 2009, Premio Città di Marineo); Versione (Mobydick 2012); Musica questuante (Aragno 2014, Premio Città di Arcore, Premio Tra Secchia e Panaro, Premio Il Meleto di Guido Gozzano); Sillabe di un appello (Medusa 2018); Spostamenti. Prose e racconti (Nardini 2020); Un tentativo di gioia (Nardini 2021).