fotografia di Dino Ignani



Giulio Einaudi editore 2022


Istituirsi luogo di ricezione, esaudire in ascolto la materia, risalire a ogni indizio sottilissimo di origine può essere un azzardo di esiziale irrevocabilità, in specie per chi è afflitto da scoscesa intuizione. È questo il caso di Silvia Bre, poetessa ferma nella vorticosa contròra di un’ermeneutica poetica designata, caparbia alla voragine e al bagliore.
Bre, ancora una volta, con Le campane (Giulio Einaudi editore 2022) presta le corde di una sensitività mirabilmente vigile e tragica a percezioni ingenite, a stanze di coscienza anteriore, qui espresse in magia. “Noi non pensiamo, noi ricordiamo” dice Andrej Belyj nel suo Glossolalia. Poema sul suono mettendo a fuoco le affinità etimologiche dell’area indoeuropea: i suoni comuni, antecedenti alle strutture del linguaggio, che testimoniano certe corrispondenze ontologiche tra il pronunciare e il nominare, tra esistere e risuonare, irradiare. E così Florenskij sapeva dei simboli eterni che parlano allo spirito, ripetendosi nei secoli, tra anticipazioni e compimenti.
Se molte anime avvertono la melodia e la luce dell’Essere in linea retta, tale intendimento è però spuntato d’espressione nella maggior parte di noi, confinati a linguaggi concreti, enunciati del ragionevole, che ci tengono protetti nell’immanenza del percorso terrestre, adesi e indenni. Altra cosa è per certuni – siano artisti o mistici o cuori smisurati, chiamati per innocenza alla veglia del sentire – i quali patiscono continuamente il soffio del pensiero acceso che, dalle labbra del cosmo, li raggiunge nei drappeggi del silenzio. È allora che l’officina dell’intelletto spegne le luci del ragionamento produttivo, fa riposare le macchine, e lascia vibrare i propri ingranaggi a cassa armonica, che di arie e luoghi rimanda la voce remota ed eterna, a eseguire l’enigma come un adagio: tonalità infinite di univoca inconfutabilità, a celebrare e tutelare, perpetrare il dogma di segretezza in nuove architetture di parole. Troppo semplice il parallelo di quest’ultimo dire di Bre con i quartetti eliotiani perché, se simili per attitudine e temi di riflessione, Eliot in essi enunciava, pur in modo fascinosamente arcano, mentre qui Bre decolla in “salti mortali” precisissimi, facendo coreografie di incorporei, supremi sensi, in proclamato delizioso martirio. L’espiazione di un’elezione, quest’umile tracotanza intrisa di sconcerto, porta in grembo il processo combusto di una poesia che poco elargisce al poeta per sé, se non quel ruolo duro e irrichiesto, toccato in sorte come “infamia fedele di beata”. Una leva mistica in senso etimologico, che setaccia tra i più e poi sceglie, e sequestra; chiamando per nome, infligge una “presenza frontale contro la dismisura” che trema in consunzione, dando effimera luce: Bre cerca la raffigurazione impossibile, l’immagine che coincida, e lo fa interminatamente, offrendosi a un testimoniare attonito, che oltrepassa ogni orizzonte: distende l’interminato, ardendo in verticale.

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Da Silvia Bre, Le campane, Giulio Einaudi editore 2022

C’è una forza che tiene e ha una forza
che tira avanti come un animale
non chiede niente e si prolunga buia
nel suo buio venire in mezzo al mondo
travolge tutto dalle sue radici
via dalla memoria di qualcuno
puntando oltre, verso più nessuno
averla dentro leva da se stessi
come va via da te quello che dici

Fotografia di Ando Fuchs


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Come un’alba nera madornale che da est
cerca l’Atlantico nei giri
della nebbia fino alla curva,
e lì la spuma della mia presenza
frontale contro la dismisura.
Non so se resisto a questo male.
Che venga a prendermi ogni luce
o anche un giro di vento, che plachi
il silenzio della mia comprensione assoluta

Fotografia di Ando Fuchs

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Da qui si scorge la belva che esiste per sparire
e guarda in verticale, riempie di salti, di verbo
il frammezzo tra sole e terra, la cogli nell’arco siderale
che è l’amore sfinito per i giorni,
nell’opera che resta inconclusa a fissare l’eterno

Fotografia di Ando Fuchs


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Proviene l’animale, intanto si lecca la fame, brucia
rogo nei figli. Ma sotto il manto freddo della pelle
la notte, senza piú abitudine, insorge da sé:
la parte altissima, antigravitazionale, inneggia
a quello che non è. La strada gli sfa le ossa intanto
nel mare delle stelle, nelle crepe del riposo,
e mentre sfiata, la creatura così candida
consegna il male alla terra, suo unico cielo.
Intanto, il tempo

Fotografia di Ando Fuchs


Tra gli eletti dal male a guarirlo
nella lingua che lo dice, la cura
del ramo spinato che urtato da un fiato
sibila e ti tiene sveglio e ti addormenta,
non sai quale madre detta la misura
nell’azzurra lacuna da vedere
se contro la luce della morte
una navata canta la sua carità per questa gleba.
Suonata a senso dalle campane
per timone le tenebre
mi ruota nello scheletro la nube di una luna,
questa infamia fedele di beata

Fotografia di Ando Fuchs


Silvia Bre (Bergamo 1953) vive da molti anni a Roma. Ha pubblicato in poesia I riposi (Rotundo 1990), Le barricate misteriose (Einaudi 2001, premio Montale), Sempre perdendosi (Nottetempo 2006, premio Montano, portato a teatro da Alfonso Benadduce), Marmo (Einaudi 2007, premi Viareggio, Mondello, Frascati, Penne, Arenzano), La fine di quest’arte (Einaudi 2015).
Ha tradotto Emily Dickinson (Centoquattro poesie, Einaudi 2011; Uno zero più ampio, Einaudi 2013; Questa parola fidata, Einaudi 2019); Vita Sackville-West (Il Giardino, Elliot 2013), Robert Graves (Sette giorni fra mille anni, postfazione di Silvia Ronchey, nottetempo 2015); Louise Labé (Il canzoniere, Classici Mondadori, 2000), Margaret Atwood (Esercizi di potere, nottetempo 2019). Tra gli altri autori tradotti: Alberto Manguel, Alice Walker, Claudia Rankine, Doris Lessing, Naomi Alderman, Alison Lurie, Siobhan Fallon, Sharon Kivland, Lodro Rinzler. Nel 2010 vince il premio Cardarelli per la poesia, nel 2019 il Premio Maggiore per la traduzione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Nel 2022 pubblica per Einaudi la presente raccolta Le campane, che vince il Premio Laudomia Bonanni; nello stesso anno è uscito, per Adelphi, Fuoco e ghiaccio, traduzione di un’ampia raccolta di poesie di Robert Frost.