Crocetti Editore 2022
Prefazione di Milo De Angelis
Una dolorosa sincronia e un edotto simbolismo armano ad arcani fulgori il canto di Giovanni Ibello nell’ultima sua opera Dialoghi con Amin (Crocetti Editore 2022). Versi raccolti in una silloge dal respiro poematico e pervasi, come Milo De Angelis in prefazione, da costante imminenza: una grazia sfinita, irta di allarme.
Nella coerenza nebulosa e lunare degli sconforti, la voce che guida la narrazione lirica è vestibolo a un adito vago, a un brumoso presagio che urge, pur nel segno indecifrato: un mulinello di vento che impensierisce la sera, e ci fa riparare spauriti e tremanti, all’ingrigirsi torvo del cielo.
Frammentazione che precede la deflagrazione, fatalità che prelude al disastro sono metro e tono con cui il poeta pronuncia il reale: il tremendo della corporeità e l’incolmabile divario da un demiurgo “del fiore nero”, inespugnabile “gheriglio di stella” che ci assedia di assenza e di desiderio nella sua ontologica indubitabilità, nel suo remoto e compatto negarsi: da stanze irreperibili e severamente concordi, a noi proscritte per distanza morale.
L’era dei numi che iridavano la terra di lucentezze è terminata. L’uomo sente pesargli sul capo una luce anodina e sperimentale, e la sua ontica pochezza lo assilla con il retrogusto di un torto in essenza, di una colpevolezza nodale. Al polo interiore ancora acceso al dialogo con il sé non rimane che raccogliersi in poesia, facendo esequie del perduto incanto. L’”ultimo sole” è l’ara di silenzio in cui ogni anima rovina, dismesso il volo e dato cenno di assenso al sinuoso, efferato fluire.
L’elegia di Ibello precipita sul foglio come universale sconcerto, e diviene poesia corale: guglia di sfiancato amore si staglia nitida verso il cielo, con le mani giunte a quella preghiera di chi si crede sconfitto, e fa la propria liturgia nell’ombra, presumendo d’essere inascoltato.
Il nobile controcanto di Amin all’anima afflitta è profezia irrisolta, imminenza spirituale, avvento: particella di spirito che solleva il viso al nume e, con la testa incassata nelle spalle, percorre il travaglio del proprio spavento: mentre del divino grida l’assenza, ancora ne attende sulla nuca il soffio, a sogno ostinato di scudo e segreta, lievissima presenza.
*
Da Giovanni Ibello, Dialoghi con Amin, Crocetti Editore 2022
Cercava la risacca nelle pinete
fiutava l’ombra di un ago sul fondale,
la panacea di un abbandono.
Conta fino a zero, le dissi
salta nell’arco cinerino.
È tutto calmo
qui è davvero tutto calmo,
il sole è una biglia di benzodiazepine.
C’è ancora un intreccio
di gelsomini carbonizzati sulla pietra.
L’estate,
una valanga di aceto sopra i fiori.
Ma in questo valzer di occhi crociati
non dire una parola,
non parlare.
Troveremo un altro modo per fare alta la vita.
*
La mia estasi rimane
lettera morta sul greto.
Brindo al disamore
al cuore profanato nell’acquaio
agli insetti fulminati nell’insegna.
Ci lega la parola feroce,
una giostra di penombre.
L’incanto di una teleferica,
l’esatto perimetro di un grido.
Tu che muori
in quell’assillo di aranceti
che ritorna.
Era l’affanno antico,
l’anemone del giorno
divelto sopra i silos
*
Amin, è quasi giorno,
è la resa dei fuochi invernali
l’ectoplasma del divenire.
Dio, gheriglio di stella
insegnaci a svanire
poco a poco
insegnaci il dialogo amoroso
tra i picchi delle braci
e l’arpionata notte.
Adesso è tutta luna nuova
mentre ancora
tiri a sorte la vena
dio anatema,
ti sfiori trasognato le palpebre…
Quanti millimetri ci separano dal buio?
*
La risacca ci insegna il solo rito possibile: lo smisurato addio
*
utero incendio
Amin, il volo a trapezio dei cormorani è un alfabeto
senza luna. Avrai una stella di cenere sul fianco, uno stecco
di mezzaluce. Una spilla conficcata nel cuore di neve, la
tua parola sarà l’inganno, la Mesopotamia dell’invisibile,
uno che batte furiosamente il viola dei polsi sulla rena.
Fermati, fermati primavera.
*
Misuriamo la salvezza con il fiato:
chi nasce trafigge l’affanno del prima.
*
Dichiaro guerra
alla piena dei giardini
agli alberi insonni
al canile di luce,
alla pioggia
che porta il grande freddo.
Dichiaro guerra al cielo:
dove sei, dove sei…
dio del fiore nero.
*
Non so cosa amo,
ma so cosa feconda il mio verso:
fare del corpo la misura del tremendo.
Non mancare
questo appuntamento / con l’osceno,
l’uomo che si dispera sopra i seni.
*
Cosa resta del sogno?
Io non lo so cosa resta del sogno. Io sono inutile come
la pace. Sono il ras delle ombre, luce cariata dall’avvenire.
Conservo questa macellazione del bianco e tracanno,
da ogni vena di luna, quel vino fatto aceto che chiamavo
incanto
*
Morte all’incanto,
alba di macellazione.
Un vitellino soffia alla luna:
sei tu l’hiroshima dello splendore.
Sei tu la mia regina assira,
l’ambasciata del vento,
la poesia che mi farà sole
*
Vedi, c’è un cormorano
che brucia nell’ultimo sole.
L’antico rito della caccia impone
un letto di eucalipto e malva per la preda:
è la forma minima del silenzio.
Avrei perdonato mia madre
se non fossi nato per amore.
*
Giovanni Ibello (Napoli, 1989) vive e lavora a Napoli. Nel 2017 pubblica il suo primo libro, Turbative siderali (premio Città di Como Opera Prima e premio dell’Osservatorio Letterario fondazione Lermontov). I suoi versi sono stati tradotti in sei lingue tra riviste, lit-blog e antologie di poeti italiani all’estero. Nel 2018 si aggiudica il premio Città di Fiumicino per la sezione “Opera inedita” con una prima versione del poemetto Dialoghi con Amin. Nel 2020 una sua antologia poetica viene selezionata e pubblicata in Russia dall’editore Igor Ulangin per la collana “Contemporary Italian Poetry” diretta dal critico e slavista Paolo Galvagni (traduzioni di Tatiana Grauz). Nel gennaio del 2021 inaugura la rubrica “I poeti di trent’anni” curata da Milo De Angelis per la rivista “Poesia” di Crocetti. Dirige l’online di Atelier e cura la collana di poesia “Deserti Luoghi” per l’editore Terra d’ulivi.
L’Astero Rosso: si entra in punta di piedi per non molestare il silenzio, si lascia un obolo di parole e luce, e si va nell’unica strada che conduce alla poesia. I versi di Giovanni Ibello rianimano l’incanto, la grazia e la dannazione delle parole. Grazie.
Grazie a te Adriana della tua attenzione per la poesia di Giovanni, per le tue parole sentite.