Emanuela Agnoli
La fiamma è precaria e vacillante.
Questa luce basta un soffio ad annientarla, una scintilla a riaccenderla
Gaston Bachelard
Di che cosa parliamo quando parliamo di cambiamento? Del tempo che passa, degli anni che scivolano via, della maturità che sopraggiunge, del corpo che si trasforma, ma anche di percorsi interiori, di apertura di vedute, di opportunità, di lunghi viaggi, di svolte decisive…
Il cambiamento comporta anche instabilità; è l’impermanenza, concepita come sinonimo di mutamento, una serie di eventi in continua evoluzione: l’affermazione dell’idea di essere come divenire, il pánta réi di Eraclito, secondo cui “tutto scorre come un fiume”, contrapposto al concetto statico di Parmenide.
Accettare l’instabilità come parte fondante della natura aiuta a non perdersi, a conoscersi e accettarsi, a restare in equilibrio, nonostante tutto.
L’arte si configura, oggi più che mai, come rifugio in un ambito senza confini e come uno spazio libero da schemi e imposizioni. L’atto creativo è esso stesso affermazione di libertà; un gesto, un divenire che non è solo azione creativa, ma, al contempo, processo di disvelamento della coscienza.
Impermanenze sono le tante sembianze dell’Io che affiorano, tra le pieghe del volto e le pieghe dell’anima, nelle opere di Simona Ragazzi e di Raffaele Mazzamurro: oltre una ventina di lavori selezionati, gran parte dei quali realizzati ad hoc per questa mostra allestita nelle sale di Spazio b5.
La perenne trasformazione della natura e dell’essere umano, con le sue continue metamorfosi, la costante evoluzione e il desiderio di ricerca, è il fil rouge che lega le diverse forme espressive di questi due artisti, figurativa l’una, informale l’altro.
Un’indagine intima, esistenziale, negli intrecci di relazioni ed emozioni, di dialoghi e parole non dette, di attese, di silenzi, di ascolti, in un tempo sospeso, di equilibri precari.
Simona Ragazzi intraprende la via dell’arte indagando proprio il tema dello scorrere del tempo e del cambiamento. La passione per la fisiognomica e la poetica della narrazione sono i punti di partenza della ricerca di Simona, artista eclettica che realizza raffinati lavori scultorei in argilla e terracotta smaltata (“nella terra creta trovo molta somiglianza con l’uomo: forza, fragilità, naturalezza, complessità”), ma anche lavori pittorici, fotografici e installazioni, che sono un invito al dialogo, oltre che espressione esse stesse dell’impermanenza, dello stato e della forma.
Al centro vi sono gli esseri umani, con le loro contraddizioni e le loro dicotomie, accomunati dal continuo evolvere, tra sentimenti, emozioni e ricordi. Ed ecco che affiorano profili essenziali, perlopiù femminili, divisi tra il bianco e il colore acceso, che si contrappongono e si completano, e che incantano nella loro comune lucentezza.
Le fotografie catturano uno stadio della creazione di quelle che diverranno opere tridimensionali (bassorilievi o a tuttotondo), ne cristallizzano l’istante della poesia: sono le Crisalidi.
“Crisalide” (dal greco chrusos, oro) è metafora del cambiamento e simboleggia la rinascita, la speranza, il coraggio, la bellezza, ma anche la fuggevolezza della felicità.
La condizione umana è come la crisalide: uno stato di passaggio, che collega il corpo materiale con l’anima e, nella consapevolezza della transitorietà della forma, l’intero ciclo di vita è un vero e proprio processo alchemico.
Alchimia e trasmutazione della materia sono proprio alla base del processo di combustione. Il fuoco, naturalmente fuggevole, non ha forma, peso o densità; è medium dello stesso processo trasformativo dei materiali ed ha un aspetto dialettico: è simbolo di distruzione e di rigenerazione, di vita e di morte.
Raffaele Mazzamurro sceglie un linguaggio materico, dai toni forti e drammatici: colori acrilici su carta cotone, ma anche listelli di legno di abete assemblati con colla e chiodi, poi carbonizzati. È un percorso fatto di silenzi, di attese, di incontri e di ascolto. Nascono, così, sculture informali, fatte di vuoti e di pieni, come grandi partiture musicali le cui note, gli elementi di colore, creano un ritmo, in battere e in levare.
La cenere, residuo della combustione del legno, simboleggia la caducità, i passaggi di stato, quindi la morte, ma anche la rinascita, attraverso “nuove visioni e nuovi sguardi”.
Il fuoco è benefico, dunque, e con un potenziale alchemico. La combustione non interviene come fattore di distruzione, ma in qualità di forza creatrice, capace di plasmare e rigenerare la materia; bruciando, i pezzi di legno non producono pigmenti uniformi, ma varie sfumature, dal nero intenso al grigio e al blu. Ne deriva una composizione che attrae per i suoi giochi di luce e di ombre, una sorta di pentagramma composto da neri opachi e lucenti.
Nelle opere scultoree di Raffaele Mazzamurro, così come in quelle pittoriche, in cui la ricerca cromatica e la pulizia formale dimostrano una raggiunta maturità artistica, trova forma la poetica della relazione, dell’ascolto e delle parole incomprese. Nell’artista vi è tutta l’energia di chi, “incredulo della noncuranza di chi non si ferma ad ascoltare”, con l’instancabile capacità di accogliere, vuole fortemente donare qualcosa di sé agli altri, dedicare tempo e attenzione, con cura e gentilezza.
I Frammenti sono per Raffaele momenti di vita apparentemente scomparsi, ma che ci portiamo dentro, modellano le forme del nostro carattere e, a volte, riaffiorano. Quando li ripensiamo, non sono mai uguali, perché noi stessi cambiamo e ciò determina anche il nostro futuro. (“È drammatico, ma è anche un equilibrio, instabile e costante”).
In un mondo sempre più complesso, più frenetico e iperconnesso, l’arte contemporanea risponde alla forte necessità di ritrovare il senso profondo, di riscoprire la lentezza, di far parlare il silenzio, di esprimere ciò che le parole non riuscirebbero a rendere: a volte sono troppo “strette” per contenere ciò che si prova, troppo statiche per seguire i moti dell’animo e dei pensieri…
L’arte sublima le fragilità e le paure, rispondendo a quel desiderio di elevazione, innato nell’essere umano, a una tensione verso l’alto, verso lo spirito, nella consapevolezza che il vero mistero della vita stessa è la trasformazione e che ciò che continuamente si trasforma non può deperire, ma rende eterni.
Emanuela Agnoli
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Emanuela Agnoli, nata a Bologna nel 1971, si laurea in Filosofia, con indirizzo Estetico, all’Università di Bologna. Dopo l’esperienza alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna, collabora con il Settore Cultura del Comune della sua città (prima all’Ufficio Giovani Artisti, poi a Bologna 2000 – Città Europea della Cultura), dove cura cataloghi, prodotti editoriali e i contenuti del sito “Bologna2000”.
Giornalista pubblicista, dal 1996 si occupa di arte contemporanea, scrivendo per quotidiani, periodici di settore e testi critici per cataloghi. Presso la casa editrice FMR è responsabile della rivista “EIKON – I temi e le idee dell’arte”, diretta da Flaminio Gualdoni, e assistente alla direzione scientifica; dal 2001 matura un’esperienza nei settori comunicazione, ufficio stampa e PR.
Dal 2010 è curatrice di mostre. Nello stesso anno entra a far parte del Club Soroptimist International di Bologna, di cui sarà Consigliera e VicePresidente. Nel 2011 è tra i fondatori dell’Associazione non profit “Grisù”, per cui cura per quattro anni comunicazione e ufficio stampa di “Spazio Grisù”, ex Caserma dei Vigili del Fuoco di Ferrara, la prima Factory della creatività in Emilia-Romagna, nata nell’ottobre del 2012.
Nel gennaio 2013 è ideatrice e curatrice del progetto “L’Ombra di Lucio” e “Incontro con l’ombra” (Arte Fiera, Art White Night) dell’artista trevigiano Mario Martinelli, la cui opera-installazione rimane permanente sulla facciata della casa bolognese in cui viveva Lucio Dalla, a fianco del balcone che si affaccia su Piazza de’ Celestini. Da aprile 2014 fa parte del Centro Studi Giorgio Morandi.
Come libera professionista, dal 2013 cura l’ufficio stampa di eventi e mostre di arte contemporanea, oltre alle edizioni 2016 e 2017 della manifestazione internazionale “Bologna Design Week”.
Del 2020-21 sono alcuni suoi testi critici su artisti, fotografi e designer e la collaborazione con “Spazio b5”, Studio store creativo e spazio espositivo bolognese. Da novembre 2020 tiene la rubrica di arte contemporanea “Ceci n’est pas une… Galérie”.
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Simona Ragazzi risponde ad alcune domande, per raccontarsi:
Quella di creare, di plasmare forme è un dono, ma anche una esigenza. Che cosa ti spinge a fare arte?
Fin da piccola mi perdevo nel dipingere ore e ore…
Scegliere la scuola d’arte è stato un passo naturale. Lì ho iniziato anche a plasmare la creta; sicuramente un dono, un dono inaspettato, che ha preso il sopravvento nella mia vita.
Fare arte mi ha dato modo di conoscere me stessa, di dialogare con gli altri, di indagare i temi e i moti dell’uomo e il senso della vita. Una scintilla nata nei banchi di scuola, a 15 anni, che ancora oggi non si è spenta; anzi, con il tempo è diventata una luce che ha illuminato i momenti sia belli che brutti della mia vita, dando loro un senso.
Che significati attribuisci al concetto di impermanenza?
Ho sempre riflettuto sui valori legati all’uomo e allo scorrere del tempo, un elemento essenziale che ci permette una continua crescita individuale.
La permanenza della nostra condizione fisica, mentale e sociale non esiste: ogni istante, esperienza, evento, emozione muta costantemente il nostro essere, dando a questa provvisorietà un senso filosofico assoluto.
Ad ogni conclusione di qualcosa corrisponde sempre un nuovo inizio. Accettare questa transitorietà di tutte le cose e il loro essere passeggere credo che permetta all’uomo di avere uno sguardo più sereno sul fluire della vita.
Quali aspetti ti avvicinano al lavoro di Raffaele? Che cosa vi lega e che cosa, invece, vi distingue principalmente?
Entrambi sentiamo la necessità di confrontarci e dialogare con gli altri per ritrovare noi stessi e lo facciamo attraverso il nostro creare.
L’approccio estetico che utilizziamo è visibilmente distante: io artista figurativa, Raffaele perlopiù informale; ma, in realtà, abbiamo molte similitudini intellettuali, cromatiche e di sensibilità tattile.
Questa distanza espressiva genera una interessante alchimia mentale che indurrà sicuramente il visitatore della mostra a riflessioni uniche.
Simona, parliamo dell’importanza dei materiali nelle tue opere e delle tecniche che utilizzi
Fino ad oggi ho utilizzato la scultura, la pittura, la fotografia e la video-arte per realizzare mie opere e installazioni.
Cerco di avvalermi della tecnica espressiva e del materiale più idoneo che permetta di sviluppare al meglio il mio progetto artistico. Come nel caso del progetto “Crisalidi”, in cui è indispensabile l’uso del mezzo fotografico per cristallizzare un momento temporale specifico. Oppure l’uso gestuale e veloce della pittura o del disegno, per studiare nuovi progetti. Ma sicuramente il materiale che prediligo e con cui ho sviluppato una forte affinità è la terra creta; in essa trovo molta somiglianza con l’uomo: forza, fragilità, naturalezza, complessità. Non ultima l’emozione di pensare a una forma e darle vita con le mie mani.
Simona Ragazzi è nata a Bologna nel 1969.
Vive e lavora a Bologna.
Nel 1993 ha creato l’atelier d’arte Paese dei Balocchi, che nel 2023 compirà 30 anni.
www.simonaragazzi.it
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Raffaele Mazzamurro risponde ad alcune domande, per raccontarsi:
Quella di creare, di plasmare forme è un dono, ma anche una esigenza. Che cosa ti spinge a fare arte?
Credo che ognuno di noi abbia in sé il bisogno di dialogare, nonostante oggi si sia distratti dalle tante incombenze della vita e dalla percezione di perdere tempo nel volgersi a guardare alle nostre interiorità e a quelle degli altri. I miei lavori sono uno sfrenato bisogno di dedicare attenzione ai mille dialoghi che mi circondano e che cerco incessantemente.
Che significati attribuisci al concetto di impermanenza?
Le nostre emozioni e le nostre passioni hanno un loro tempo interiore (che poco ha a che fare con il tempo scandito dall’orologio). Ecco, quindi, il tempo della speranza, della nostalgia, della friabile gioia e i tanti altri tempi che costruiscono e modellano le nostre esperienze. Sono esperienze che, legate alle nostre emozioni e ai loro tempi, sono cangianti, incandescenti (aggettivo a me molto caro) e mai le stesse.
Quali aspetti ti avvicinano al lavoro di Simona? Che che cosa vi lega e che cosa, invece, vi distingue principalmente?
Ammiro molto i lavori di Simona: sono limpidi e aperti al comunicare. In essi vedo sempre un invito, un richiamo a farsi trasportare dall’altra parte dei volti, in una costante ricerca dell’altro. Le sculture di Simona passano attraverso la pazienza e la cura; i miei lavori vivono una loro vita nella mia mente, per poi esplodere in un tempo breve.
Raffaele, parliamo dell’importanza del materiale e del colore nei tuoi lavori; l’evoluzione dai colori primari, fino a una vera e propria esplosione cromatica nei tuoi lavori più recenti su carta.
I colori sono come delle parole: alcuni le contengono tutte e non le lasciano vivere, devi entrarci dentro per sentirle; altri sono parole dette e altri ancora parole non dette. Provo a raccontare immagini con parole che si agitano in me, sperando di dialogare con le immagini di ognuno di noi.
Trovo che la carta cotone, di grammatura importante, e il legno siano dei mezzi coinvolgenti per avvicinarmi il più possibile a queste parole. La carta pesante è piacevole da toccare, mentre il legno è entusiasmante nel suo bruciare.
Raffaele Mazzamurro è nato a Bologna nel 1961.
Vive e lavora a Bologna
www.raffaelemazzamurro.it