Le mie ore
Rimane, sai, più vivo
nel silenzio delle ore dilatate
dall’estate che ci balla
nella mente, il madido annaspare,
tra il vapore e tra i pensieri,
delle braccia che domandano
il segreto che conosci tu
soltanto, per riprendere
il sentiero che conduca
finalmente le mie carni
nel rifugio che hai lasciato
quando avevi ancora fiato
a sufficienza per urlare.
È il fumo di esistenze consumate
dalla sorte e dalle smanie
per stagioni mai venute: fantasma
di discorsi impronunciabili
o affrettate conclusioni,
forse il segno che aspettavi
per decidere di togliere
le tende e cominciare, come un santo,
a non rispondere a nessuno
che non sappia anche volare.
Al contrario
Chiamami lontano
da tutte le parole che ho suonato
per esistere al contrario,
dall’oro dei tuoi passi che promettono
l’estate, dal chiacchierare
esausto delle vecchie sui balconi.
Dammi l’altra mano:
conduci i miei pensieri fino al bordo
dei piaceri che hai scartato,
convincimi a resistere ai richiami
di altri giorni e ad ogni polline
nutrito dagli scoli di grondaia.
Chiamami, ma piano,
e portami lontano nei deserti
che il mio tempo ha costruito
e con pazienza maniacale, guarda
solo alle mie mani mentre
tremano (se ti cercano nell’aria).
Risacca
Ho scelto per dimora la risacca,
l’eco, il giorno quando sfoca
lentamente ed è un riverbero
la luce mentre fugge via dai vetri,
si allontana dalle cose.
La lieve sfumatura che separa
i tuoi colori mi dà gioie
che non riescono mai a dirsi,
ma ogni sera ritornano alle orecchie
quasi fossero un bisbiglio.
Lo ascolto adesso e aspetto la mattina,
quando sogno intorno ai dubbi
e anche il mare si riposa;
farfuglia le sue storie irrealizzate
ma a riparo dalla noia.
Tu sai della mia mente
Tu sai della mia mente
quando appicca i bianchi incendi
tra le nuvole che paiono
i respiri dei miei poveri
falò di desideri e di paure
inattuali. Conosci del silenzio
il timbro e il tono della luce
che ci lacrima negli occhi,
se guardiamo al nostro cielo
ignari e liberi dai suoni
del futuro e del passato.
È niente, eppure è tutto
il poco azzurro che rimane
tra lo spazio e le cimase
dei palazzi che abitiamo.
È tutto, eppure è niente
se non posso confidarlo
più a nessuno che c’è stato
un tempo vergine di angosce
che danzavano nel vento.
*
Alessandro Barbato (Roma, 1975) dopo la laurea in lettere, ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca (PhD) in antropologia sociale presso l’EHESS di Parigi dedicandosi allo studio dei rapporti tra nuove scienze umane e letteratura, in particolare nell’opera di Michel Leiris e Pier Paolo Pasolini.
Ha pubblicato su tale tematica diversi saggi, in lingua italiana e francese, e una monografia ed è collaboratore del blog dedicato al Poeta friulano «Le pagine corsare». Nello stesso periodo è stato
membro del comitato di redazione della rivista di settore «Civiltà e religioni», oltre che di diversi gruppi di ricerca legati alle cattedre di Storia delle Religioni e di Antropologia delle religioni della Facoltà di Lettere dell’Università UNIROMA2, collaborando attivamente anche alle attività didattiche dei rispettivi insegnamenti, tenendo corsi di approfondimento e seminari. Appassionato di poesia, ha pubblicato alcune sue liriche su rivista, blog letterari e nel 2019 la silloge “Il fiore dell’attesa”, confluita nel 2020 nella raccolta “Solamente quando è inverno”. Ad aprile 2022 ha visto, infine, la luce la sua nuova raccolta di versi, “La mimica dei mondi (qualche poesia fuoritempo)”, edita da Controluna – Edizioni di poesia. Attualmente insegna materie letterarie presso le Scuole Ebraiche di Roma.