Arcipelago itaca Edizioni 2022
Collana Lacustrine diretta da Renata Morresi
Se nella nostra epoca, afflitta da soffocante profusione, ogni assunto diviene aneddotico, inaffidabile, sfaldato nella più frammentaria impermanenza, Lorenzo Mari nella sua ultima silloge Soggetti a cancellazione (Arcipelago Itaca 2022, per la collana Lacustrine, diretta da Renata Morresi) assume l’onere di esprimere tutto questo con precisa allegoria: non affermando ed esemplificando, ma plasmando l’opera stessa a evento plurimo, multiforme, contaminato da quella orizzontalità e inesauribilità che, tra rimandi e linkabili richiami, rende il web la grande mostruosità esauriente, così mutevolmente minuziosa da essere inattendibile.
L’informazione, sembra voler dire Mari, mediante la rete ha percorso il sogno estenuante della completezza, ma in luogo del borgesiano aleph che anelava alla percezione istantanea dell’assoluto, ha creato invece un libro di sabbia che contiene un tutto sconfinato, volubile e contraddittorio, mai uguale a sé stesso.
Così Borges: “Come trasmettere agli altri l’infinito aleph che la mia timorosa memoria a stento abbraccia? Quello che hanno visto i miei occhi è stato simultaneo, quello che trascriverò, successivo, perché il linguaggio lo è”. Lo scrittore così rifletteva sull’impossibilità di comunicare l’illimitata pienezza esperita nell’attimo, e nel Libro di sabbia trasfondeva la vertigine di ogni inesauribilità.
Ora, Mari in una certa misura scrive il libro di sabbia del nostro tempo, in cui la dovizia è interminabile e insieme cagionevole; transitoria, incoerente, affabulatoria: l’opera si conforma alla “notizia” web, che a chiari assiomi alterna dati in divenire, reportage tormentati da controversie e dibattiti, questi ultimi spesso sfiduciati o circospetti fino al complottismo.
In Soggetti a cancellazione profusione e impermanenza si esprimono mediante parti di testo a caratteri tipografici che si alternano a QR code, la cui lettura ottica apre stanze virtuali dai contorni onirici, mondi ulteriori in wordpress che sono instabili esemplificazioni di possibili biografie e coreografie, rendering di patinate nostre vite messe in scena a beneficio di potenziali visitatori: e noi stessi siamo ormai ridotti a ideogrammi digitali di rimando a ulteriori, aggiuntive intuizioni e ideazioni, che si inanellano nel web le une con le altre senza fine; dando un senso di itinerario sfinito e involuto, un dedalo evanescente come “fata morgana”, “Délibáb”, in cui è compresente una moltitudine sincronica che smargina tra passato e presente, tra realtà ed evento immaginato.
Opera pur sempre analogica, il volume di Mari si concretizza in stampa ironicamente sopradimensionata (formato A4), per farsi piattaforma di decollo virtuale, secondo una sprezzatura che è la matrice più peculiare del poeta: Lorenzo non è nuovo all’esprimere senza dire, ammiccando al lettore attento; una poesia di genio, la cui cifra risiede, ancor più che nella (sempre presente) musicalità e raffinatezza, nell’abilità di instillare riflessioni affermandone, in modo a tratti arguto, a tratti amaro, l’apparente contrario. Ma di tutte queste cose si è altrove già parlato.
L’oggetto-libro di Mari trasmette, tra gli altri, il potente messaggio di quanto l’incorporeo poggi in ogni caso su una realtà fisica fragile: la parola si distende sul telaio cartaceo, il sito wordpress e, in generale, il mondo web, si esprimono attraverso cavi, monitor, e schede madri; e ancora processori, alimentatori di corrente, ripetitori. Elementi tangibili, che esistono nello spazio come base-massa, per poi creare e proiettare mondi infiniti, creati dalle nostre menti, a beneficio e discapito delle stesse.
Da notare che il lavoro eseguito dal poeta sul testo stampato è l’opposto di quello che normalmente si persegue in internet: se nella rete si tenta di dare, mediante la grafica e il linguaggio, la sensazione che quello con cui veniamo a contatto sia stabile e assodato, e molte pagine si propongono a riferimento culturale, pur non essendo spesso legittimate in alcun modo da vagli di peer-reviewer, né da filtri di alcun tipo, al contrario Lorenzo fa della pagina di carta, che ha subìto spoglio e rifinitura, un territorio effimero e accidentato, ricolmo di riferimenti concettualmente linkati in modo talora chiaro, talora subliminale; dando così una percezione forte di quell’anarchico scompiglio di informazioni che continuamente ribolle nei nostri emisferi cerebrali: la parola scritta rincorre il labirinto della rete, che ha impresso la sua forma anche sulla mente umana, ormai grembo e apparente sepolcro di moltitudini esperienziali continue, alla cui superficie vi è una frastornata coscienza nella quale ci muoviamo nel giorno, stratificati e ibridi, imprevedibili.
Mari esegue tutto questo nel suo testo, facendone un amalgama di frammenti letterari di sapore eliotiano, riportati come reminiscenze che salgono alle labbra da affollate profondità: nei blocchi di prosa balenano citazioni tratte da un poeta siciliano anonimo risalente a due secoli fa, che ispirò anche Domenico Modugno per una sua canzone negli anni ’70; alcuni versi richiamano un poemetto eroicomico secentesco, riferimenti ai dischi di Rosa Balistreri, al lavoro di Valerio Lombardozzi, che in arte è Heinrich Dressel, nome preso a prestito da un archeologo, epigrafista e numismatico tedesco; un’intera lirica non è altro che il prodotto verbale di Google Translate, ovvero la trascrizione dei sottotitoli generatisi automaticamente durante un Instagram Live di Jean-Luc Godard trasmesso (dall’ECAL di Losanna) nell’aprile 2020, quando l’Italia era nella morsa letargica e angosciata del lockdown; e ancora Lorenzo balza nei secoli, passando da riferimenti al movimento politico di estrema destra Qanon, alla sanguinaria cesura subita da Malco, servo di Caifa, all’arresto di Gesù (Gv 18:10-11); tra i versi sono evocati artisti concettuali complessi, che si rincorrono sul tema lacerazione-ricomposizione, personalità afferenti al mondo delle arti letterarie, critiche, visivo-installative, musicali, connessi tra loro da legami ecfratici di primo e secondo livello.
Tra le pagine, ricche di annotazioni e cancellature, tipograficamente orientate in modo plurimo e fantasioso con piglio danielewskiano (Spinelli), compare anche la pagina Wikipedia del poeta spagnolo Carlos Salomón (di cui Mari traduce poi tre dei cinque sonetti apparsi sulla rivista “Cuadernos Hispanoamericanos” nel 1956), con tanto di disambiguazione iniziale e simulate, cliccabili, possibilità di modifica; e teorie di non esistenza del poeta stesso, corredate di improbabili congetture complottiste riguardo ampie sparizioni di fauna avicola tramate a livello governativo.
La pagina, benché appaia “definitiva” e consolidata nel supporto cartaceo del testo, proprio per l’infiltrato delirante delle “controversie” e la presenza di parti (illusoriamente) connesse a internet, dà un fortissimo senso di precarietà e di non-luogo, sul quale si può sostare solo un momento, per poi di nuovo migrare, senza posa e senza pace, su altri contenuti nella stessa misura inaffidabili.
La sovrapposizione dei contenuti è ulteriormente allegorizzata nella sezione del Monte dei cocci, una “collina artificiale” presente sul territorio comunale romano, esito dell’accumulo, fin da epoche antichissime, di materiali di scarto in discarica a cielo aperto. “Questi sono appunti” informa il poeta a inizio sezione “ presi durante un viaggio mai compiuto”. Il tema del potenziale inespresso, del valore formativo dell’eventualità non percorsa, di ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, è ripreso con chiarezza nelle notizie bio-bibliografiche, nelle quali Mari afferma siano stati punti essenziali del suo percorso “l’intera filmografia di Jean-Luc Godard, con particolare riferimento ai film non visti” come i sonetti II e IV di Carlos Salomón, cioè gli unici due non tradotti.
Se il mancato e l’assente sono parte integrante di ciò che ci plasma, il cerchio si chiude con l’operazione, che dà titolo all’opera, di riportare lemmi o locuzioni cancellati: questo avviene mediante una linea orizzontale sovrapposta al testo, che rimane visibile: esso è pertanto incrementato, potenziato nel suo contributo semantico dall’ultimo strato di elaborazione. La cancellazione di parti del discorso diviene qui vero processo ermeneutico (Devicienti) che ammonisce riguardo certi processi di comunicazione che, avvalendosi – in forma intenzionale o passiva – di affermazione e successiva negazione, tenendosi traccia di tutto l’iter espressivo, portano non a una recuperata, incorrotta integrità del supporto, ma bensì a messaggi compositi e stratificati, che s’incrementano e si accrescono di senso e assetto ulteriore, divenendo ontologicamente ancora più ingombranti.
Ancora una volta Mari ci regala una scrittura poetica ricercata, proteiforme, e un portato tematico pieno, cospicuo, e fecondo. Anche in quest’opera, come spesso nel poeta accade, balena l’asserzione in levare, perseguita per via negationits: l’assoluto, sembra dire Lorenzo, non è afferrabile per accumulo e moltitudine, ma per sottrazione. Nondimeno, a questa consapevolezza si può arrivare solo dopo aver preso coscienza della realtà brulicante di falsi pieni e celati vuoti che stiamo vivendo.
“Seul l’infini limite l’illimité”, diceva Simone Weil, e il poeta ce lo ricorda qui, in questo suo dire, che l’illimitato è fragile, e il troppo frana. Ciò che interminatamente cerca di evocare la vertigine dell’ulteriore è solo fata morgana, e persino nel proprio corporeo supporto va incontro a frammentazione e ricomposizione continua. Una testimonianza in tal senso ci ricorda che ciò che origina dal pensiero umano può mimare l’illimitato, ma non conosce il perenne e l’infinito.
L’ipotesi è che Mari, nel suo modo cifrato, volesse dirci qualcosa di molto profondo, e lo abbia fatto costringendoci a un’attenzione interpretativa ardua, estenuante, gradevolissima: se l’avvicinarsi ai suoi contenuti richiede sempre estrema cura, forse è proprio quell’attenzione che il poeta c’impone la via che salva dai tentacoli dell’inessenziale, dal soffocante dispendio: solo disegnando l’illimitato cerchio, se ne intravede l’infinito centro.
Isabella Bignozzi
***
da Soggetti a cancellazione, Arcipelago itaca Edizioni 2022
(dalla sezione Délibáb)
Non è nient’altro che terra piatta: un po’
come tutte le convinzioni, in poesia –
procedere
si dice, in direzione della linea che si prospetta
giusta: l’orizzonte ad esempio con campanile
ma rovesciato –
scientificamente
Si spiega il motivo per il quale a volte
si vedono le montagne a volte no ma è
verso
la linea esatta che si procede così come procede la linea storica
o la terra piatta mentre l’acqua del fiume e il corso sullo sfondo
tutta
uguale –
i morti della linea storica hanno voce tutta uguale e giusta
rimane solo fata morgana come niente fosse stato
rinuncia
– il cimitero è questo,
in fondo:
non un coro, specialmente di statue di sale,
ma un sussurro un lieve cenno del capo
un assenso muto
alla dialettica
*
Tutta la lotta con i pronomi contro i pronomi
per farla finita con il canto a soggetto –
sicuramente sarà così ma ora sono sirene:
fruscio vocale che risulta sottilissimo
sono peraltro sirene ben nascoste
e belve accucciate in fondo al mare
esilissime nello spazio
di mare nel quadrato di
sale molto oltre il baratro di
male: dove finisce la terra piatta
e tutta la ciurma e i tappi di cera le corde sono
all’ugola e proprio su quella soglia
d’acqua
la lotta con i pronomi contro i pronomi
non basta non può bastare
*
[mix]
PADRE: – Nulla, e tutto: morte, e il fumo ricomposta
poesia, non è respiro ma a volte dice
strozzandosi per sparire
MADRE: – Nulla, e tutto: morte, e il segno ricomposta
poesia, non è nel libro ma a volte dice
bruciandosi per sparire
FRATELLO: – Nulla, e tutto: morte, e il verbo ricomposta
poesia, non è sommossa ma a volte dice
piegandosi per sparire
SORELLA: – Nulla, e tutto: morte, e Malco ricomposta
poesia, non è l’orecchio ma a volte dice
strozzata bruciata piegata per
*
(dalla sezione Monte dei cocci)
III. Es – tu – mort
Fuori di ogni abitudine, era
appena mattina: si potevano ancora
scambiare i rumori della strada
per rumori della strada. L’arrotino,
anche, il pesciaiolo, o il celerino:
correva dietro a un punka
per la droga, avrebbe detto poi,
Correva con una foia
non sua. Non era molto più
dell’alba e poi cosa può succedere
ai video, alle classi, alle parole:
io, eccomi, penso che adesso
è tutto più chiaro –
non ho visto niente
ma di botto ho scambiato
scientemente e per falsa coscienza
un pai di rumori
1[peut-être] per un’idea. Ho visto
tutto
*
(dalla sezione Vertigo/Lai)
Temo di uscire là sulla soglia
dove l’osservazione e chi osserva
si separano in fretta e non si lascia spazio
alla stanca deriva e più non si lascia
essere la vita con tutta l’angoscia
e non mezza, né l’una
né l’altra, come sempre:
là sulla soglia non c’è
alternativa – meglio, quindi,
ritirarsi verso l’entroterra
versarsi da bere fumare
assumere la posa che si necessita
ancora parlare ancora
parlare e la vita lasciare
in angoscia perché
o per chi si perita
di parlare parlare
e parlare una lingua
che al fondo della terra
nelle viscere forse
non è diversa
da una lallazione da
un finissimo ossesso da
una ninna nanna.
*
Lorenzo Mari (Mantova, 1984) vive a Bologna, dove insegna lingua inglese nelle scuole secondarie di secondo grado. È autore di alcuni libri di poesia: libere sequele (Gazebo, 2004), pellegrinaggio senza Endimione (Inventario Senese, 2007), Minuta di silenzio (L’Arcolaio, 2009), Nel debito di affiliazione (L’Arcolaio, 2013), Ornitorinco in cinque passi (Prufrock Spa, 2016), Querencia (Oèdipus, 2019) e Tarsia/Coro (Zacinto, 2021). Ha pubblicato i saggi Forme dell’interregno. Past Imperfect di Nuruddin Farah tra letteratura post-coloniale e world literature (Aracne, 2018) e Il taccuino dell’intellettuale. Disegno e narrazione nell’opera di John Berger (Mimesis, 2020). Ha curato le antologie di saggi Subalternità italiane. Percorsi di ricerca tra letteratura e storia (Aracne, 2018, con Gabriele Proglio e Valeria Deplano) e Il presente di Gramsci. Letteratura e ideologia oggi (Galaad, 2018, con Marco Gatto, Paolo Desogus e Mimmo Cangiano). Nel 2019 ha pubblicato il racconto Via Mascarella alta e bassa per le autoproduzioni della Libreria Modo Infoshop di Bologna. Traduce dallo spagnolo e dall’inglese: tra le traduzioni più recenti, Sonetti teologici (L’Arcolaio, 2019) di Agustín García Calvo, #Misantropocene. 24 tesi (Modo Infoshop, 2020) di Joshua Clover e Juliana Spahr e Trilce (Argolibri, 2021) di César Vallejo. Ha curato l’antologia del poeta cileno Raúl Zurita ZURITA. Quattro poemi (Valigie Rosse, 2019), nella traduzione di Alberto Masala.