Cose da bambini
I
Cerca settembre? chiede l’anziana voce
ombra dall’ombra del giardino deserto
e l’azzurro dello sguardo resta impigliato
nel soffio acceso del mare aperto dove sbava
l’inutile risposta che già sconta e lava
il suo tempo oltre ogni cosa
e chi è la farfalla bianca nel giardino
verde disabitato che svola sul basilico
appena bagnato? la terra è bassa e dura
lo sa bene il ferro antico dei contadini,
il profumo, amore mio, è quel profondo
silenzio del mondo, di nonni, di bambini.
II
Perché a volte
Perché a volte i bambini
hanno occhi di novembre
bocca di foglie, ginocchia
insanguinate, e sanno e non sanno
che questo tornerà, una notte
o forse il primo giorno
di lavoro, come un salto
di là dal muro – o il giorno
del matrimonio – non ci penseranno
per molto tempo, se avranno
tempo, se a volte
sanno e non sanno che i baci
e gli insulti e l’estasi immobile
del ricordo che spalanca
la bocca sarà più loro,
da lì in poi, quasi vecchi,
quando si fa neve l’attesa
minacciando l’inverno
il fianco del cuore
e forse per sempre.
III
Partita persa
So cosa vi manca e come, so gli amici,
la casa, il gioco dell’amore – ma ora
siamo qui, oltre il rancore, nel vino
del ritorno a un primadopo, quello
di ogni giorno, scordato il bambino
con lo sguardo di topo, col suo fascio
di disegni e di illusioni, forse indegni
o comunque non troppo buoni – è la musica
che sbatte nelle porte della paura, nelle
sciatte notti senza premura… o la morte
che sorride nelle parole della fatica,
della solita partita, già vista e rigiocata,
persa, stregata, sui campi del tormento
in corsa vuota contro il vento, più infelice,
più contento, come un fiore, come
un arlecchino, con la schiena stanca,
con le botte prese e date, mani alte,
arrese, inchiodate in un triste inchino
a un silenzioso nessun Dio, a un povero
terzino destro di nome io.
IV
Perché sono tutte sbagliate
le mie traduzioni versioni
arrese di trascorse
scompassionate passioni
e cammino sul limitare di non so
cosa fino a esitare sul confine
cercando con lo sguardo la frontiera
senza sapere che nome dare alla rosa
o al nemico – nella notte
accesa e intera, senza fine
prigioniera di un me stesso
preso e arreso nella pietra
del tempo vivo dove dico
e non dico e tu, bella nella
voce mia smarrita come
i capelli fra le dita…
in punta di piedi davanti
a un semaforo rosso
che non devia la parola
buona che non chiedi ma
in me lampeggia come un allarme
di pena di paura tutta umana
nemmeno eterna e dunque
di quello che non posso, tipo
come da bambino “per la lunga
saltare il fosso”
V
Le ho già viste le città d’inverno
con la paura di restare soli
nei mancati tradimenti senza dolore,
pallidi come un vecchio televisore,
nelle mani stanche intente a cucinare
e il cielo d’inverno color povera
minestra
ho letto libri con devozione
sui treni della notte scordando piano
i baci falsi, le vere botte, prove
d’orchestra – e sono come i passi
sghembi di un cane lungo l’argine
di un canale – ascolto il male, il bene,
il forse, verso il futuro che non viene,
nell’inciampo delle parole di chi vuole,
svuole, torna a volere nelle estreme
sere o nei mattini senza pazienza…
e le ho già viste le città d’inverno che
di noi sanno fare senza…
VI
Mi piacerebbe tremare di febbre
essere ubriaco a Gerusalemme
essere limpido e pericoloso
come una pietra del deserto
di Giuda, non sognare, niente,
solo saperti nuda, in riva
a un nuovo “come sarebbe”,
senza se e senza ma, senza
i soliti così non si fa. Dov’é
la nostra libertà di fallire e stupire?
épater le bourgeois, ma le bourgeois
siamo noi, carichi di colpa come
innocenti somari, come buoi
e anche troppi i come, sempre
in fondo pari, sempre con la
sinistra rima degli spari, ah
la solita musica, la solita sega o
meglio lima senza nemmeno
il rimpianto di un arreso prima
e la voglia di combattere… cosa?
la voglia di scazzottarsi, di ti do un pugno
che ti faccio volare fino là si diceva
da bambini, senza posa, un secolo
fa, e tralla-
llero trallallà…
VII
Biglietto
Caro amico mio,
alle tre di notte – o del mattino –
piove come se esistesse Dio
e tengo sul cuore il libro
di un grande amore, steso
sul divano dove tremo
con la mano tastando il polso
di un’avventura parigina
alta nel suono di un violino
e alte anche le vie percorse
e le attese a perdifiato accanto
o dietro la silhouette distratta
e amata di una dolcissima
resa di una splendida disfatta
lungo le rive del diverso fiume
sempre uguale – quello del bene,
quello del male – o la Senna
che ci abita il cuore, il tratto
lieve e innamorato di una penna
a siglare il tempo dato e sdato…
*
Giancarlo Sissa è nato a Mantova nel 1961. Vive a Bologna. Come poeta ha pubblicato nel 1997 Laureola (Book Editore) con postfazione di Alberto Bertoni, nel 1998 Prima della tac e altre poesie (Marcos y Marcos) con prefazione di Giovanni Giudici, nel 2002 Il mestiere dell’educatore (Book Editore) con postfazione di Alberto Bertoni, nel 2004 Manuale d’insonnia (Aragno) con postfazione di Roberto Galaverni, nel 2008 Il bambino perfetto (Manni) con postfazione di Antonio Prete, nel 2015 Autoritratto (poesie 1990-2015) (italic/pequod) con postfazione di Alberto Bertoni e Persona minore (qudulibri), nel 2020 Archivio del Padre (MC edizioni) con prefazione di Pasquale Di Palmo. Nel 2004 ha ideato e curato il volume Poesia a Bologna (Gallo et Calzati Editori).
È presente in diverse antologie fra cui L’occhio e il cuore, poeti degli anni ’90 (Sometti 2000), Il pensiero dominante, poesia italiana 1970-2000 (Garzanti 2001), Le parole esposte, fotostoria della poesia italiana del Novecento (Crocetti 2002), Poesia della traduzione (Sometti 2003), Parole di passo, trentatré poeti per il terzo millennio (Nino Aragno 2004), Trent’anni di Novecento (Book Editore, 2005), La linea del Sillaro (Campanotto 2006), Vicino alle nubi sulla montagna crollata (Campanotto 2008), Calpestare l’oblio (Argo, 2010), 100Thousand Poets for change primo movimento (qudu libri 2013), I volti delle parole (Fondazione TitoBalestra onlus, fotografie di Daniele Ferroni, prefazione di Sebastiano Vassalli 2014), Non ti curar di me se il cuor ti manca (qudulibri 2015 e 2016), Sulla scia dei piovaschi – poeti italiani tra due millenni (Archinto, 2016), Passione Poesia – Letture di poesia contemporanea 1990-2015 (Edizioni CFR 2016), Centrale di Transito (ceci n’est pas une anthologie) (Giulio Perrone Editore 2016), Officine della Poesia 1. Bologna (Kurumuny Editore 2018), Verso le sei di sera in Corte Dandini (peQuod Editore 2018), Ritratti di poeta (puntoacapo Editore 2019), Sospeso respiro – Poesia di pandemia (Moretti & Vitali 2020) a cura di Gabrio Vitali, Distanze obliterate – Generazioni di poesie sulla rete (puntoacapo Editore 2021).
Dalla collaborazione con il fotografo Daniele Ferroni sono nati nel 2019 L’ultimo ballerino dell’aia tradotto in russo da Kristina Landa con prefazione di Giampiero Neri e postfazione di Vittorio Cozzoli (Edizioni Lumacagolosa) e nel 2020 Lentezza e silenzio e Il silenzio (Edizioni Pulcinoelefante). Del 2019 è le plaquette Il lupo (Babbomorto Editore) e del 2022 è Frontiera (Babbomorto Editore, 2022).
Le sue poesie sono tradotte in diverse lingue europee.
Per anni ha prestato opera di “diarista e narratore in scena” per il Teatro delle Ariette e nell’ambito del progetto teatrale Rosaspina, il tempo del sogno di Alessandra Gabriela Baldoni.
Dal 2010 conduce atelier di scrittura dedicati alle tematiche del Silenzio, della Sincerità, della riflessione autobiografica in prosa e in versi in Italia e all’estero.