(estratto)
MC Edizioni, collana Gli insetti, a cura di Pasquale Di Palmo
Dalla prefazione di Pasquale Di Palmo:
È una poesia contratta quella di Stefano Massari, ripiegata intorno a un nucleo di immagini sghembe e ricorrenti che sembrano contrapporsi al mondo delle macchine evocato nel titolo. Non c’è conforto in questi versi, tutto sembra collassato, come se si volesse rimarcare una condizione claustrofobica, di alienato, di scorticato, tesa a creare una pronuncia straniante e vertiginosa che tuttavia conserva i crismi di un’autenticità rara.
Non sarà difficile indicare tra i maestri di Massari alcuni autori novecenteschi che hanno esibito la parola alla stregua di un osso, di un referto: da Fortini a De Angelis, passando per Antonio Porta. La nostra epoca peraltro non ha più bisogno di parole e maestri, bensì di un silenzio che arrivi a cancellare tutto il dolore accumulato da un corpo che modula nelle sue dodici morti altrettante resurrezioni.
Non c’è alcun intento religioso in questi versi, bensì un approccio laico, apotropaico, che spesso sconfina in esiti visionari e frammentari, enigmatici e crudeli, in sintagmi che si conficcano nella pelle come minuscoli aghi. È bandita qualsiasi armonia che non sia quella che si rifà alle dinamiche di una fisicità perduta nell’ingranaggio di un pensiero sclerotizzato, teso ad ammassare, «con gesti di scure e carità», le pagliuzze d’oro e lo sterco, per ricordarci che siamo preda non di un sogno, ma delle «mani imputridite dei mercati».
*
con il cuore stanco
[con un cristo conficcato dentro
sfigurato e bastardo]
con la paura in bocca
e il tavolo sporco di cenere e pianto
con l’odore dei figli
nei vestiti abbandonati sul letto
con gli occhi abituati al buio
e le finestre sbarrate per paura dei topi
dei servi e del caldo
[con le unghie masticate fino all’alba
e tutto il nervo del secolo addosso]
io non ho più fede in niente
ma non posso
*
[la parte enorme della notte
gli insetti nervosi dentro i muri
il sonno intermittente dei figli
i tubi ininterrotti di acqua e calore
gli uccisi che non capiscono più il tempo
i corpi randagi che colpiscono
ma non riconoscono i presagi
l’architettura sconosciuta della morte
che deve continuare
le città i confini il dolore
cani dell’alba che al risveglio
divoreranno tutto
anche la pietà]
*
il migrato proibito negato coperto di mosche
scalciato bestemmiato con le vene del collo
disperate e sporgenti impugna i nostri bambini
sepolti urlando a noi mietitori dello sporco di di
che mai più nessuno in questo mondo
dovrà essere padre
*
la bambina che piove senza pace e aspetta
sulle soglie il gesto di una qualsiasi madre
che confessi tutto il male nostro al mondo
o solo le asciughi il volto o le spezzi
un po’ di pane caldo del mattino di noi
i grandi armati e perdonati pronti a promettere
che ogni cosa verrà generata ancora
*
[la morte che gioca e vola e deve mangiare
ma l’abbiamo ingannata con una fortuna giurata
su due ali incise alla radice fragile del collo ora
indica l’addio e precipita vasta come una corona
di seni e insegna luce alla luce acciaio alle gole
cemento alla pietà]
*
chiunque tu sia allora sillaba contro sillaba
corpo madre cardinale giura che posso
ancora pronunciare questo ennesimo addio
curvo come un diluvio un digiuno una febbre
un calendario di prede e regole del bene
che finalmente posso entrare nell’unica tua
temperatura dell’alba perfetta e finale*
*
[quel tratto esatto del ponte controvento
che stringe il passo alle acque sporche
eterne hai detto ridendo ricongiunta a me
ora che tutto è vero che insieme liberiamo
i troppi nomi dati alla morte e che mai
ci hanno uccisi alla fine e qui davanti alla città
ancora che imparano a cercarsi sapendo
che tutto è raggiunto che tutto comincia
adesso]
*
l’occhio sinistro lago
l’occhio destro ride creato
la voce discesa insonne
il gesto anello semplice
in piccoli vortici respiri
e annunci origini e ritorni
scritti uguali sulle linee
delle mani
*temperatura dell’alba è un verso di Carlotta Cicci