MC Edizioni, collana Gli insetti a cura di Pasquale Di Palmo
Nota di Pasquale di Palmo, prefazione di Francesca Serragnoli

Questa nuova raccolta di Serena Dibiase presenta fin dal bellissimo titolo elementi spiazzanti e, al contempo, riconducibili a un microcosmo naturale che sembra idealmente connotare i suoi frammenti poctici attraverso “una voce conosciuta” che si identifica con “la mia bocca di erba”. Il motivo dell’erbario medievale è sviluppato in maniera originale e persuasiva che non disdegna di aderire a un intento progettuale ben marcato, dipanantesi attraverso le quattro sezioni proposte con una delicatezza che, a tratti, assume forme allucinate e crudeli. Tale coinvolgimento dei sensi viene ricondotto a un’aura in cui, con esiti semplici e immediati, “finisce ogni volta il ciclo del fiore / e tu metti acqua / rianimi il nome / dove il sole acceca”.
Il coinvolgimento mimetico con il mondo vegetale si scontra con la cognizione della precarietà linguistica che presuppone continui fraintendimenti e slittamenti di senso […].
Le parole-relitti, alla stregua di “proiezioni del sole / evocate dal mare”, costituiscono il substrato di questa poetica, sempre in bilico tra naufragio e redenzione: “la differenza tra me e il blu era una finzione”.

Pasquale Di Palmo

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Questo libro di Serena Dibiase fa venire in mente quel manipolo di raccolte di poesia per le quali occorre andare sottacqua e voltarsi ad ogni scatto di colore o spostamento d’alga selvatica o pesce tropicale o ombra dentata. È effettivamente un libro pieno d’acqua, un libro bagnato: “una bocca aperta / il suo cadere”. Così viene descritta proprio l’acqua in un testo appunto magmatico e trasparente, di quella trasparenza che la poesia, come la intendo io, conosce come chiarezza di un mistero, riferendomi alla chiarità (o splendore) indicata da san Tommaso come una delle tre cifre della bellezza.
[…] È una poesia che sgela l’altro, che insiste a dare credito ai rumori e ai colori perché “insieme stanno due voci / una che chiama l’altra” e anche poi dice “davanti a me l’isola non era del tutto deserta / sentivo delle voci arrivare dal suo centro”.
È un libro pieno anche di cenere. Credo sia qualcosa che si ostina a non morire del tutto. Ogni libro è un bunker che nasconde ogni parola nel buco dell’albero che l’ha generata, come verde al vento.
Porta gelo spiegare una intuizione di acqua, cenere, altro da sé, intravista senza rancore, cioè reale. Irregolare è “quel rumore di trapassato / e rose all’entrata”.
Dove va questa poesia? Dà credito all’aria, alla regalità della nostra guardia del corpo, al vento che già salvò Leopardi dai giardinieri del nulla. Il vento odo stormir tra queste piante.
Il vento sento fra questi versi, li muove e talvolta sbattono gli uni con gli altri, in un ritmo: “il ritmo non era andarsene”.
“l’aria qui / ha una memoria eterna / che ha sempre fame o / la mansuetudine dell’animale”, oppure: “l’aria può essere infinita /ponderandone ogni spostamento di peso / […] dilatando la propria ricerca a punti familiari nella stanza”.
Allora nulla si perde, nemmeno l’aria, la cenere, l’acqua. Nemmeno noi.

Francesca Serragnoli

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Da: Erbario da bocca (MC 2024)

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a punta di bocca
ti avrei detto ti amo
senza covare guarigione
accanto alla tua alba
riversata e sulla porta
nel sonno più chiuso ora
l’aria è un corpo che sbrina
ed è sempre nudo
sempre più nudo
fino alle palpebre
che vanno annerendo
nel pensiero di me
che sono nata
e che sono viva

Hengki Koentjoro, Underwater 1


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quando manca la tua anatomia
tocco ogni pietra restando
nello stesso punto
nel caldo nel bosco
nel latte
nel limpido

ogni oggetto è pausa:
il vestito i fluidi
gli arcani a riposo
dove spegne agosto
esteso porpora
e sabbioso
compie lenti movimenti circolari
e non ci tocca
se non con la luce

Hengki Koentjoro, Underwater 4


*

chiarezza è quella parola zigrinata
che perde ad ogni pronuncia
o evocazione
una madre nuda
che non crede
a quello che ha creato

madre esposta
a tutti i fantasmi

Hengki Koentjoro, Underwater 2


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al di là del sole c’è un fondo
fitto di tane

puoi vederne le scogliere
i minerali l’assenza di acqua
le chele sospese le bisce
occhi chiusi
senza tensione muscolare
estesi

l’odore invece sfolgora

Hengki Koentjoro, Underwater 6


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coltelli circolano senz’attrito
forme che il sole rende sottili

l’occhio riguarda e gerarchizza
edifica un più grande cristallo
attraverso cui si vede il mediterraneo
il sole e tutto il seccato – relitti
proiezioni del sole
evocate dal mare – il largo la lingua
tutt’uno col mare

Hengki Koentjoro, Underwater 14


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rosso in tutte le creature
e nel gran fuoco
si sa

lo splendore è immobile

le pietre si aprono all’infinito
quel rumore di trapassato
e rose all’entrata
un profumo già
sanguina
cerca di esistere
precede il pensiero
sistema slogato
odore accanto al mio
nulla si perde

sassi urtano contro sassi
forte
poi in frantumi
cadono
dalle ciglia
fluidi
in gola tutt’uno
tosse occhi mattino
musica che ci pietrifica
pietra fantasma
sempre asfodeli dai terreni incendiati

in ognuna di queste fessure
nulla si perde

Hengki Koentjoro, Underwater 16


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attorno alla casa materna restano i vetri

una mano sulla superficie d’acqua
falcia le rive
a mezz’aria oscillano
tonde incandescenti
un latte
attorno al paesaggio

sei antica insabbiata
un arbusto a cui parlare

sempre più animale
più lieve

Hengki Koentjoro, Underwater 20


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Serena Dibiase è sperimentatrice vocale, soundartist, performer, autrice. Ha pubblicato elle vene, Manni 2010, Amnesia dei vivi, Italiq Pequod 2015, La bambina lo sa, La Gru 2019. Identifica le sue produzioni sonore indipendenti con il nome progettuale Kratu lavorando in questi ultimi anni per Biennale Teatro e presentando la sua ricerca in festival italiani e internazionali. È collaboratrice artistica e trainer di pratica bioenergetica e vocale in contesti di disagio sociale – carcere, comunità –, e lavora con compagnie di ricerca teatrale e performativa.