Antologia poetica 1995-2022
puntoacapo Editrice 2024
Postfazione di Giovanni Nuscis


In alcune vite più che in altre, il mondo è tutto interiore: un’arca spalancata di percezioni, affetti, presagi e fedeltà all’invisibile che rimettono in scena il reale nell’intimo della coscienza, con tutto il carico emotivo e intuitivo possibile. Sembra il caso di Mauro Germani, che raccoglie parte del suo lavoro poetico in un’antologia (Prima del sempre. Antologia poetica 1995-2022, puntoacapo 2024, postfazione di Giovanni Nuscis) dai toni delicati e profondi: narrazione, per lacerti lirici, di una privazione che muta in consenso: radunando le gemme dell’indizio negletto, dell’istante desolato, del cammino disperso.
C’è, in quest’opera, forte la presenza dello Spirito, che sbuffa sulle navate dell’universo, e dilata ogni stanza del cuore facendone brillare i dolorosi smeraldi: restituendo la creatura alla volatile fluidità della sua matrice primaria; c’è la vita come tormentoso tirocinio alla carità, praticato sul vivente da tutto ciò che, nella dimensione materiale, e secondo le categorie dell’intelletto, è inteso come punto di mancato, evento patito, annuncio incompreso; c’è la consapevolezza che, dell’umanità tutta, “ricapitolata” nel corpo di Cristo, ogni individuo è un esempio, teso verso l’assoluta sua pienezza dal soffio sacro, che ne suggella i flussi del carattere, i carismi e il destino: “apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro” (At 2,3): dando, mediante la sofferenza, costante impulso al superamento della propria esiguità, alla sublimazione delle pulsioni, all’ascesa del volto umano alla sua forma più limpida e sottile: nudità in cui traspare l’infinito:

“Anch’io guardo l’infanzia, le case appena esistenti sotto la neve, un’altalena bianca nei campi. L’ordine è adesso questo singhiozzo, l’aria che gela i canali e la piazza e soffia dov’è facile perdere, senza più remissione, come un abbraccio splendente nel vuoto”.

E lo Spirito incessantemente si muove e muove l’altro da sé: perché nasce come soffio di amore tra Padre e Figlio, e prende poi dimora in Gesù, diventando salvezza. È attraverso la croce e la resurrezione che l’evento della morte diviene potenza dello Spirito, con facoltà d’indurre in ogni cuore quello straziato divaricarsi, quel rinascere in ampiezza che addestra al respiro d’amore: viversi nel corpo mistico, chiamare “Abbà, padre!” (Rm 8, 15) l’inconoscibile, l’arduo, il silente.
L’umile accoglienza della propria miseria dilata l’uomo interiore, ne fa cuore intero e pronto, precipite in Dio: che lo illumina a ritroso, perché lo riconosce: per attinenza e similarità.
Ogni essere umano, come l’universo stesso, è nel Creatore da prima del sempre, e posandosi in Lui viene a sapere di sé l’insensata, tragica capacità di amare oltre la ragione, oltre la propria durata e integrità: laddove convergono i mondi annullando qualsiasi orientamento spaziotemporale, nei crocevia di purezza – vertici immateriali, protesi al limite – dove ogni assunto è validato nel suo opposto, l’immenso si distende nel minuto, la luce del Volto è prossima e condivisa:

“Qualcuno segna le rovine con le mani screpolate. I morti cercano i vivi tra le mura notturne. È un sogno perduto nel mondo, uno sguardo allontanato. Nelle case c’è una pace ferita, un’attesa di secoli che non conosce perdono”.

“Il mondo è interiore”, diceva Pierre Emmanuel, e così è per Mauro Germani. Un poeta quanto mai metafisico, non per visionarietà, ma per attenta compassione. Mitezza e accorata umanità scandiscono versi e prose impalpabili nell’oggetto, ma presentissime nel movimento. Le parole di Germani sono quasi disincarnate, refoli che, una volta agiti, si allontanano lasciandosi solo esperire nel moto, nel flusso che avviano, col tenue vigore di un’essenza in fuga: cosa viva, che sa rigenerarsi nei propri riverberi.
Come acutamente nota Giovanni Nuscis nella postfazione, è “uno sguardo postumo, lontano, assoluto quello che osserva, senza dettagli cronologici e di spazio, alieno dalla deteriorabile repertazione dell’oggi”.
Tale mancanza reiterata e consapevole di coordinate immanenti dà la sensazione di trovarsi in una realtà pneumatica, affrancata dalla materia, in un senso di continua Pentecoste, benché ancora non prosciolta dal dolente sentire umano; in un’area sacramentale, di eletta povertà: stele al cielo, ciò che volge in alto e tutto compendia, in assolutezza di eterno; è questa l’unica terra sacra dove dolore ed estasi di dolcezza iniziano a essere due odorosi contrappunti dello stesso soffio:

“Questa fanciullezza dei morti / come un vento lieve / che passa tra i boschi, / o l’eternità / muta del cielo insieme / agli anni, a tutti / i ricordi come / nuvole disperse, / ai passi / quasi a mezz’aria, / senza più carne, / soli / sul breve sentiero”.

In quest’ampia antologia, che raccoglie in modo esistenzialmente ponderato liriche scritte in quasi trent’anni di lavoro, Germani attraversa, con la sua scrittura, molti universi di inquietudine e sete di senso, come lui stesso riporta nella nota finale, ma con la consapevolezza del limite di questo processo di indagine: “La parola poetica tra due abissi, qualcosa che sta all’origine, che è prima, e qualcosa che attende come un destino […]” laddove però “la coscienza dell’incompiutezza diventa un atto necessario di umiltà […] Perché nell’esistenza c’è qualcosa che è di più dell’esistenza stessa e le parole non bastano mai per dirlo”.
Siamo di fronte a un’opera diafana, a vocazione celeste, in cui la circolarità del tempo consacra e custodisce ogni beatitudine che fiorisce nel dolore, ogni lutto che cura il ricordo a segreto riparo; ogni grazia elargita in parvenza di abbandono, ogni esercizio ostinato di bellezza: librantesi sugli apogei di un’umiltà priva e sovrana, che a tutto resiste e perdura, a immagine di Gesù:

“Ora è nell’altro e nel silenzio precipita, prende dimora l’Abbandonato, il mendicante del cielo”.

E così, in una “luce sconfitta”, accade “l’ora che cerca il destino, una veglia ininterrotta nel vento”. Una nepsis perseverante, che attende e confida, intimamente, in un avvento leale, personale, atteso nella disciplina della tenerezza

“quella / promessa d’acqua / benedetta, quel pianto / nel freddo del mondo”. Un vincolo di libertà, che conosce l’amore, e ci chiama da parte, uno ad uno: “Allora sentiremo / un nome da portare / lontano, un dono / povero e grande, / la nostra voce / dentro una voce”.

*

Da: Prima del sempre (puntoacapo Editrice 2024)

Sei prima dell’alfabeto, prima del volto. Tremi nell’erba bianca dei sogni, e un respiro attraversa la valle del mondo, diviene il tuo sguardo, il silenzio di noi, ancora, nel tempo dei fuochi.

Franklin Carmichael, Gace Lake, 1931

*

È qui, guarda l’ora della sua fine, la carne innalzata nel pianto.
Nel cielo tutta la luce è frantumata, sfolgora un’aria di neve.

*

Ecco, si accosta alle porte di casa in una luce sconfitta.
È l’ora che cerca il destino, una veglia ininterrotta nel vento.
Tu sei lì, sei un dolore nuovo che bacia le fronti.

*

L’acqua dei sette mesi e la notte bianca al davanzale, l’attesa come dono e lamento nella stanza accanto. Il mio nome è un voto, un bacio nell’aria che trema nel buio.

*

C’è una foto, una luce che tocca il tuo viso.
Tu vieni da un’eternità di un bacio, da una ferita che è giovinezza, acqua scintillante, sogno dentro il mattino.
Sorridi.
E una pace sembra scendere di lato, spiare dalle chiome invisibili, averti, mentre qualcuno ti ascolta da un alone di vento e leggenda.

*

“Non importa se finisce adesso, se finisce così…” Pregavi da quel precipizio, come a chiedere scusa. E allora tornavano tutte le sillabe degli anni cinquanta, la piazza con la fontana, i miei sudditi morti.
Il tuo petto tremava sotto le lenzuola, ed era carne, sì, vita più grande, mistero dell’ora onnipotente.

*

La bellezza che non sai dire
e le vene, tutta l’infanzia, gli anni
gli anni a capofitto
in questo
gettato divenire,
questo abisso che hai amato
in silenzio, tu
altro da te, altro nell’altro,
solo, a frantumi,
nello specchio rovesciato
del mondo.

*

Qualcuno ascolta
da un pianerottolo vuoto
e chiama improvvisamente
i morti, le voci che dalle porte
corrono fino alle ultime
piazze della città
e vorrebbe capire il suo
segreto, quel taglio che da anni
gli scava il petto
e invece piange,
piange in silenzio, piange
per tutti.

*

Preghiera
che dalla soglia tremi
nel buio,
                qui
dove il tempo continua
a cadere tra le nostre
vite e la sera spegne
le labbra ai moribondi
e più in alto sfiora i lumi
celesti – come fosse
ora, come fosse per sempre –
preghiera
della ferita e del
pianto
                salva
salva in noi
                     salva sempre
il nostro dolore.

Franklin Carmichael, Autumn Foliage against Grey Rock

*

Conterò tutte le lacrime
del Signore e le pietre,
i giocattoli morti,
quelle buche
dove una volta c’erano
i prati e una luce
splendeva sui visi
come un’eterna
giovinezza.

Farò i nomi di ognuno
e ognuno si alzerà
nel nevischio, avrà
un sorriso lontano e
un corpo smarrito,
poi chiamerò anche i cani
e i gatti impauriti
tra le macerie, vedrò
i loro musi nella notte
dove tutto è perduto,
tutto impossibile.

E finalmente saprò
la preghiera mai detta,
il grido che scuote
la terra e questo
supplizio, questo
male antico da
allontanare fino
all’immensa promessa
del cielo per tutti
i bambini,
                  uno per uno,
per loro
che sempre saranno.

*

Mauro Germani è nato a Milano nel 1954. Nel 1988 ha fondato la rivista “Margo”, che ha diretto fino al 1992. Ha pubblicato volumi di poesie e narrativa e si è occupato di numerosi autori classici e contemporanei. Suoi saggi, poesie, recensioni e racconti sono apparsi su diverse riviste cartacee e online.
In ambito critico ha curato il volume L’attesa e l’ignoto. L’opera multiforme di Dino Buzzati (L’arcolaio 2012). Nel 2013 ha pubblicato Giorgio Gaber. Il teatro del pensiero (Zona) e nel 2014 Margini della parola. Note di lettura su autori classici e contemporanei (La Vita Felice). Tra le sue opere poetiche L’ultimo sguardo (La Corte, 1995; con prefazione di Roberto Carifi), Luce del volto (Campanotto, 2002), Livorno (L’arcolaio, 2008; ristampa 2013), Terra estrema (L’arcolaio, 2011) e Voce interrotta (Italic Pequod, 2016); queste ultime tre raccolte sono risultate finaliste al Premio Lorenzo Montano, rispettivamente nel 2009, nel 2011e nel 2016. In ambito narrativo ha pubblicato il libro di racconti Storie di un’altra storia (Calibano, 2022) e Tra tempo e tempo (Readaction 2022). Gestisce il blog “in-certi confini”.