a cura di Marco Ercolani

Savinio (pseudonimo di Andrea Francesco Alberto de Chirico, n.d.r.) ha tentato la riconciliazione del sacro col profano, del mito con l’aneddoto, del sublime col farsesco. Non si possono leggere le sue pagine, guardare i suoi quadri (sentire forse le sue musiche), così come non si poteva ascoltare dal vivo la sua voce di testa, stridula, straniata, o la sua voce viscerale, fraterna – Savinio aveva due voci, due anime – senza insieme commuoversi e irritarsi. Savinio impallidiva se diceva cose profonde e rideva fino allo spasimo, lui stesso, per le sue facezie.

Alberto Savinio



Teneva molto a questa doccia scozzese che il suo spirito esercitava sugli uomini. E credeva fermamente alla funzione propedeutica della sua opera, proprio un gradus ad Parnassum, come soleva dire. Pochi mortali si sono sentiti, più di lui e di suo fratello Giorgio De Chirico, vicini agli Dei. Poche anime hanno avuto una così assidua familiarità con il mistero.


Alberto Savinio, Ulysse, 1928


Eppure dava la sensazione di disdegnare la sua teologia a vantaggio della sua cruda, poliziesca intelligenza della vita. Savinio non voleva debellare la stupidità, come Voltaire, voleva disarmarla. Gli stupidi ci sono sempre stati, ci sono, ci saranno: dobbiamo renderli innocui. Uno stupido che non fa danno, uno stupido schedato, può riuscire perfino utile, perlomeno è riposante. Ce l’aveva con Monsieur Teste perché Valery era troppo sicuro di non essere uno stupido: la bêtise n’est pas mon fort.

Alberto Savinio, Ulysse et Polyphème, 1929


Aveva trovato il giusto equilibrio, la dose giusta tra il senno e l’insensatezza. Se si apre qualcuno dei suoi libri, mettiamo Tutta la vita, una raccoltina di tredici racconti stampati da Bompiani nel ‘46 e che egli definiva con arguzia un “ampliamento del cristianesimo” perché predicava l’amore per gli oggetti, gli arredi, i metalli oltre che per l’uomo e gli animali, si scoprono distintamente le due anime, le due voci di Savinio. C’è il Savinio sacerdotale, che proclama I suoi dogmi, che tiene un tono solenne, che canta i suoi inni e le sue preci: è il Savinio racinien. E c’è accoppiato il Savinio journaliste, che fa la glossa, il commento, la chiacchiera, il risvolto farsesco al sublime.

Alberto Savinio, Tombeau d’un roi maure,1929


È il tributo alla grandezza del bonhomme. Un discorso, dunque, in partita doppia, contrappuntato, a due voci alterne, un alterco tra fanatismo e incredulità. Ricordate il ruolo metafisico che giuocano personaggi melensi come quella Teresina Saliscendi e quel Gerolamo Saltincasa che fanno la parte di Adamo ed Eva in uno dei suoi récits più belli: Paradiso terrestre? Quanto al surrealismo ci vengono incontro certe sue dichiarazioni molto esplicite: «Un giorno del 1937, a Parigi, André Breton mi diede lettura di una pagina scritta da lui, nella quale è detto che nel tempo immediatamente precedente la prima guerra mondiale, a capo di quella forma d’arte che di poi prese il nome di surrealismo, c’è mio fratello Giorgio De Chirico e ci sono io. Iniziatori per quanto incolpevoli del surrealismo siamo noi due fratelli, figli della stessa madre e dello stesso padre e fratelli nello spirito nonché nella carne. Il mio surrealismo non si accontenta di rappresentare l’informe, ma vuol dar forma all’informe e coscienza all’inconscio».

Alberto Savinio, Il sonno di Eva, 1941


Savinio rifiuta qualunque soccorso dall’automatismo psichico e dal dettato onirico. È più vicino a un’ingegneria, a una machinerie, a un’invenzione sempre consequenziale che alla meraviglia gratuita, al miracolo inatteso. Non soltanto nei libri, dice lui, riesce a conciliare Tolomeo e Copernico, fissità e moto, unità e versatilità, ma anche nella pittura si può vedere bene il lavoro delle sue due mani, la destra e la sinistra, la tradizione e l’eversione.

Alberto Savinio, Oggetti nella foresta, 1928


Questa mostra assai rappresentativa, allestita da Maria Stella Sernas in una libreria di Via Veneto, raccoglie tutte le tempere piccole e medie di proprietà della moglie Maria, della figlia Angelica, di Leda Mastrocinque, di Stefania Grazioli, Livia De Stefani, Cesaria Montefoschi, Maria Luisa Astaldi, Palma Bucarellli – “Beato tra le donne” è un bel capitolo per il biografo futuro – e dell’onorevole Evangelisti e dell’architetto Minciaroni. Savinio, come De Chirico, ha la fissazione del mestiere che talvolta risulta un po’ stucchevole e convenzionale, specie nei Ritratti che stanno proprio nel mezzo fra la pittura di museo e l’art pompier.

Alberto Savinio. Il riposo di Hermaphrodito, 1944-1945


Ma, come abbiamo premesso, l’autore teneva nel dovuto conto la retorica e la saccenteria dei filistei. La sua pittura è disegnata più che dipinta, così come la sua pagina è più parlata che scritta. Se Savinio non ha ancora avuto la fortuna che merita, è colpa dei nostri gusti pochissimo proclivi ad accettare la conversazione al posto della recita e della confessione. Una persona di spirito fa quasi paura. Si fa credito ai musoni, agli sgobboni, ai piagnoni – ora anche agli sporcaccioni – e si tengono in quarantena le anime leggere. Come se l’arte non fosse un esercizio pericoloso e ogni volo non comportasse il rischio di una caduta. Savinio non si cautelò abbastanza verso i benpensanti e i moralisti. La sua pagina vispa e accidentata, le sue tele corrusche e crepitanti conservano ancora viva la loro energia controproducente e tuttavia tollerante.

Alberto Savinio, L’île des charmes, 1928



*Il testo è tratto da: Leonardo Sinisgalli, I martedì colorati. Un poeta alle mostre, Graphos, Genova 2002 (prima edizione, Immordino, Genova 1967). Il libro raccoglie una serie di recensioni sinisgalliane di esposizioni romane apparse nel settimanale “Il tempo illustrato” nel corso del 1967.

Marco Ercolani


Marco Ercolani (Genova, 1954), è psichiatra e scrittore. Per la narrativa ha scritto: Col favore delle tenebre, Praga, Il ritardo della caduta, Vite dettate, Lezioni di eresia, Il mese dopo l’ultimo, Carte false, Il demone accanto, Taala, Il tempo di Perseo, Discorso contro la morte, A schermo nero, Sentinella, Turno di guardia, Camera fissa, Prose buie, Preferisco sparire. Colloqui con Robert Walser 1954-1956, Destini minori, Un uomo di cattivo tono, Senza il peso della terra, Storie forse incubi, Essere e non essere. Per la saggistica: Fuoricanto, Vertigine e misura, L’opera non perfetta, Il poema ininterrotto, Fuochi complici, L’archetipo della parola, Galassie parallele. Per la poesia: Il diritto di essere opachi, Si minore, Nel fermo centro di polvere. I suoi taccuini sono raccolti in Sentinella e Nottario.
Partecipa al convegno internazionale “Bruno Schulz: il profeta sommerso”. Vince il Premio Montano, il Premio Aforisma – Torino in sintesi, il Premio Morselli e il Premio Smasher. In collaborazione con Massimo Barbaro scrive Paesaggio con viandanti, L’arte della distanza, Corrosioni. Nel 2020 ristampa Il mese dopo l’ultimo (Amazon independently published), con fotografie di Chiara Romanini e postfazione di Giorgio Galli. Con Lucetta Frisa ha fondato e diretto la rivista “Arca” e “I libri dell’Arca”.
Attualmente Marco e Lucetta sono redattori della rivista online “La foce e la sorgente” per “La dimora del tempo sospeso”. In coppia hanno scritto: Détour, L’atelier e altri racconti, Nodi del cuore, Anime strane, Sento le voci, Il muro dove volano gli uccelli, Diario doppio e Furto d’anima. Di prossima pubblicazione, per le Edizioni Medusa, L’età della ferita, una riflessione sui diari di Kafka.
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